The Snow White Murder Case

The Snow White Murder Case

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Un apologo sulla comunicazione e la verità nell’era dei social network, spietato, ironico e a tratti anche fiabesco: è The Snow White Murder Case di Yoshihiro Nakamura, presentato al FEFF 2014.

Specchio, specchio delle mie brame

Quando la bellissima Noriko Miki, impiegata in una società di cosmetici, viene brutalmnte assassinata, un giovane giornalista inizia la sua personale indagine, postando ogni scoperta o sospetto su twitter. Più cerca di andare a fondo, intervistando colleghi, famigliari e persone del suo paese natale, più il cerchio si stringe intorno alla timida collega della vittima Jono Miki. Ma chi era veramente Noriko Miki?[sinossi]

La calunnia è un venticello, recitava una vecchia aria d’opera [1], e in questi tempi selvaggi accompagnati dal brusio costante delle chiacchiere che risuonano dai nostri account sui social network, il pettegolezzo un tempo appannaggio delle comari di paese, può raggiungere rapidamente dimensioni abnormi e risultati esponenzialmente letali. Ma non è un semplice apologo contro l’uso e l’abuso delle nuove forme comunicative globali (non siamo dalle parti dell’ipermoralista Disconnect, per intenderci) The Snow White Murder Case, mistery ai tempi dell’interconnessione perpetua, firmato di Yoshihiro Nakamura e presentato al Far East Film Festival 2014.

L’eclettico autore nipponico, che ha già sorpreso e sedotto il pubblico del Far East in passato con pellicole come Fish Story, Golden Slumber, See You Tomorrow, Everyone o il dittico ospedaliero composto da The Glorious Team Batista e The Triumphant General Rouge, prosegue infatti la sua indagine sul Giappone contemporaneo innestandola con elementi di una poetica più intimista e nostalgica, che occhieggia ad un universo perduto di antiche tradizioni e ripone le sue basi nella memoria e nel potere dell’immaginazione.
E sono proprio la verità e l’immaginazione il reale oggetto di una strenua ricerca, celato dietro il McGuffin dell’indagine su un caso di omicidio, messa in scena dall’autore nipponico in The Snow White Murder Case. Protagonista è un incauto e improvvisato reporter (Go Ayano), stagista in una rete televisiva locale. Quando Noriko Miki, bella e ambita impiegata di un’azienda cosmetica, viene barbaramente uccisa, il ragazzo inizia la sua personale indagine, postandone ogni sviluppo sul suo account twitter. Dalle interviste raccolte, tra colleghe di lavoro e persone vicine alla vittima, emerge tutto un gioco perverso di invidie legate soprattutto all’oggettiva avvenenza di Noriko, e tutto sembra condurre ad individuare la colpevole nella sua timida e probabilmente invidiosa compagna di lavoro Jono Miki (Mao Inoue).

Inizialmente tutto incentrato sulla detection, sovvenzionata dal continuo cicaleccio stimolato dal reporter su twitter (sullo schermo appaiono i commenti dei vari utenti del social network), The Snow White Murder Case cambia poi completamente registro e, nel mentre si apre a testimonianze più accorate (l’amica del cuore di Jono e infine lei stessa), abbandona l’asfittico panorama internettiano per approcciarsi a un universo rurale e immaginifico, location in cui risiede infine la tanto agognata verità.
A scardinare la fitta trama di falsità sono infatti i ricordi d’infanzia riportati dall’amica del cuore e infine dalla confessione, firmata, non a caso “analogicamente” di suo pugno, dalla presunta colpevole. Ma un ruolo fondamentale nella soluzione del caso è qui affidato anche ad un altro strumento analogico fondamentale: il romanzo Anna dai capelli rossi di Lucy Maud Montgomery (da cui è tratto l’omonimo l’anime di Isao Takahata), fondamentale trait d’union tra le due amiche, nonché inno accorato alla fantasia e al suo potere imperituro.

Proprio come Anna, la principale sospettata è una creatura misteriosa, fragile e traumatizzata, facile a rifuggire dalla realtà rifugiandosi in sogni infantili, come ad esempio la passione smodata e adolescenziale per una coppia di avvenenti musicisti.
Ma intorno a lei si muovono ora sia l’universo magmatico dei social network che quello ancora più claustrofobico e crudele di un luogo di lavoro, l’azienda cosmetica, improntato ontologicamente alla vanità.
Ed è proprio la vanità l’arma più letale in questo insolito e complesso crime movie, e non costituisce affatto una prerogativa esclusivamente femminile. È qui infatti il desiderio di apparire del nostro detective a problematizzare e aggravare oltremodo la situazione, stringendo il cerchio intorno alla presunta colpevole, a sua volta vittima sacrificale immolata sull’altare della vanagloria del ragazzo.
Ricco di spunti di riflessione e visivamente ammaliante, specie quando si immerge nell’universo melanconico dei ricordi infantili delle due amiche d’infanzia, The Snow White Murder Case è la riconferma del talento di una tra le scoperte più interessanti di cui la kermesse udinese può fregiarsi e che, come già avvenuto in passato, siamo pronti a scommettere non tarderà a fare il salto verso Festival più blasonati.

Note
1. Il barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini.
Info
La scheda di Snow White Murder Case sul sito del FEFF 2014.
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