The Return
di Green Zeng
Nel concorso della Settimana della Critica è stato presentato anche The Return del regista singaporegno Green Zeng, un viaggio mesto nella Singapore degli ultimi decenni, tempio dell’economia mondiale e della repressione anticomunista.
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Wen è un detenuto politico che viene rilasciato dopo molti anni di prigionia. Arrestato come presunto comunista, torna a casa, ormai anziano, ma fatica a ritrovare un rapporto con i figli. Camminando per la città, Wen vede la sua patria trasformata in una metropoli scintillante: oramai ha l’animo in pace circa la sua lunga detenzione senza processo ed è pronto ad andare avanti. Ma passato e presente si scontreranno, e circostanze impreviste faranno prendere al suo viaggio una piega tragica… [sinossi]
La trentesima edizione della Settimana Internazionale della Critica, ospitata all’interno dei lavori della Mostra di Venezia 2015, ha lanciato dei segnali piuttosto inequivocabili sulle direzioni che molti degli esordienti alla regia stanno intraprendendo. Tra queste c’è senza dubbio l’intenzione di riflettere sull’identità, sui rapporti familiari e sull’appartenenza a un luogo (e a un tempo) ben determinati. Si possono leggere in questo senso, come un lungo filo rosso, i vari The Family di Liu Shumin (che ha aperto la sezione partecipando fuori competizione), The Black Hen di Bahadur Bahm Min, Montanha di João Salaviza, Motherland di Senem Tüzen, Tanna di Beantley Dean e Martin Butler (ma anche Bagnoli Jungle di Antonio Capuano, film di chiusura fuori conorso), e The Return.
Il film di Green Zeng, ritorno di Singapore alla SIC a più di dieci anni di distanza da 15, folgorante esordio di Royston Tan, sprofonda negli abissi del tempo per riuscire a raccontare l’impossibilità a trovare un proprio spazio nel presente. L’anziano protagonista, dopotutto, non ha più un tempo a cui appartenere. Glielo ha tolto lo Stato, imprigionandolo per quarant’anni con l’accusa di essere un comunista: nel centro del capitalismo del sud-est asiatico, roccaforte dell’economia del profitto, una colpa da cui è impossibile lavarsi la coscienza. Il giovane professore di allora, dunque, è finito in prigione, e lì ha perso tutto, a partire dalla moglie, morta mentre lui era ancora dietro le sbarre.
Quando finalmente finisce il suo periodo di detenzione, solo la figlia lo aspetta trepidante. Il figlio maschio, invece, non vuole più avere niente a che fare con un genitore da cui si è sentito abbandonato, e non fa nulla per nascondere il suo disappunto. Il vecchio non può dunque fare altro che cercare di rintracciare gli amici di un tempo, o coloro che hanno diviso con lui lo spazio e il tempo in prigione. E per fare questo deve vagare, mentre la città-stato lo guarda minacciosa al di là dell’acqua.
È tutto qui, a conti fatti, The Return. Tutto in questa parola, “ritorno”, che assume una lunga serie dei cromatismi e di sfumature. Il ritorno alla libertà, per quanto puramente illusoria (che valore ha il termine “libertà” in una nazione che viene meno ai più basilari concetti di democrazia?); il ritorno a una vita che non è più, perché non può più essere; il ritorno a una città che muta pur rimanendo ancorata a se stessa. La pulizia della messa in scena ordita da Zeng prende corpo sullo schermo dando dimostrazione di una maturità autoriale non semplice da rintracciare in un regista all’opera prima. Il modo in cui Zeng gioca con il tempo della narrazione, non prevedendo cesure in scena tra l’oggi e il ricordo del tempo che fu, è l’esempio più lampante della volontà del giovane regista di non accontentarsi della prassi, rintracciando proprie coordinate espressive.
Il risultato è pienamente convincente, e anche le scelte che possono sembrare più semplici (su tutte la progressione tragica che accompagna la storia verso il finale, trascinando il film nei pressi del melodramma) rientrano nella prospettiva di un racconto che parte dall’umano e dalle sue debolezze – e ricchezze – per cercare di trovare un senso a Singapore, città-stato che annulla la sua memoria storica per ricostruire sempre su se stessa, come i grattacieli che hanno preso il posto delle case di un tempo. Una nazione che ha mandato al macello parte della sua popolazione (nulla di così nuovo nella storia del Novecento per l’area del sud-est asiatico, si pensi a quanto accaduto in Indonesia, Filippine e a più riprese in Thailandia) senza mai abbozzare la benché minima scusa.
Nel vedere The Return la mente corre rapida allo splendido Snakeskin di Daniel Hui, visto lo scorso dicembre al Torino Film Festival, viaggio bruciante nella notte di Singapore, alla disperata ricerca di un appiglio per la memoria, unico viatico per l’agognata rinascita. L’esordio di Green Zeng non raggiunge quel vertice espressivo, ma si segnala fin d’ora, in ogni caso, come una delle opere prime più rimarchevoli dell’anno.
Info
The Return sul sito della SIC.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: The Return
- Paese/Anno: Singapore | 2015
- Regia: Green Zeng
- Sceneggiatura: Green Zeng, June Chua
- Fotografia: Wong Meng Fye
- Montaggio: Green Zeng
- Interpreti: Chen Tianxiang, Eugene Tan, Eve Tan, Evelyn Wang, Gary Tang, Isaiah Lee, Shan Rievan, Tan Beng Chiak, Vincent Tee, Wong Kai Tow
- Colonna sonora: Richard Cooper
- Produzione: Mirtillo Films Pte Ltd
- Durata: 80'
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