A Serious Game

A Serious Game

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Pernilla August torna dietro la macchina da presa con A Serious Game, adattamento sincero ma artificioso dell’omonimo romanzo di Hjalmar Söderberg, caposaldo della letteratura svedese. Fuori concorso a Berlino.

Sesso, bugie e isolotti

Arvid Stjärnblom, giovane neo-redattore di un importante quotidiano di Stoccolma, fa la conoscenza di Lydia, figlia di un artista locale, e se ne innamora perdutamente. Il sentimento è reciproco, ma i due saranno costretti a consumare la loro passione in maniera clandestina… [sinossi]

Correva l’anno 2010, e Pernilla August, nota soprattutto come attrice, sorprese il pubblico della Mostra di Venezia con l’opera prima Beyond, delicato ed interessante ritratto di due generazioni a confronto e della non sempre facile emigrazione finlandese in Svezia. Un buon esordio, che vinse il premio del pubblico all’interno della Settimana della Critica e diede il via a una seconda carriera per la signora August, che recentemente ha firmato i primi tre episodi della serie televisiva danese The Legacy prima di tornare alla regia cinematografica con A Serious Game, terzo adattamento del romanzo – parzialmente autobiografico – Den allvarsamma leken, “la grande storia d’amore svedese”. Il libro di Hjalmar Söderberg è già stato portato sullo schermo nel 1945 e nel 1977, ma è la versione del 2016 ad avere il maggiore potenziale al di fuori dei territori nordici, per via dei nomi che vi sono associati. Nomi che, a dirla tutta, sono l’unico vero motivo per incuriosirsi dinanzi a questo progetto.

Come la maggior parte dei lungometraggi scandinavi che vengono realizzati oggi, A Serious Game è il frutto di una collaborazione fra tre paesi, ossia Svezia, Norvegia e Danimarca. Danese è la sceneggiatrice Lone Scherfig, di passaggio nei territori d’origine tra un’incursione anglo-americana e un’altra, e danese è uno degli interpreti, Mikkel Boe Følsgaard, che dopo aver vinto il premio per l’interpretazione maschile a Berlino per Royal Affair si ritrova, suo malgrado, incastrato in ruoli per lo più ingrati, indegni del suo talento. La sua situazione all’interno di questo film è sintomatica del problema maggiore di A Serious Game: mentre attori di tutto rispetto come Følsgaard e Michael Nyqvist devono accontentarsi di ruoli secondari più o meno immateriali, il nucleo drammatico del racconto è affidato alla coppia Sverrir Gudnason – Karin Franz Körlof, un duo affetto da una piattezza che fa quasi rimpiangere le peggiori fiction di Rai o Mediaset.

I due interpreti centrali attraversano le quasi due ore di film con grande svogliatezza, accompagnati da una sceneggiatura che banalizza la prosa di Söderberg (e cerca di ironizzare sulla cosa, non riuscendoci, con un rimando a Strindberg) e una regia scolastica, inerte, che al primo segno di difficoltà cerca di risollevare la situazione con un intenso primo piano di lui o di lei. Un procedimento ripetitivo che a lungo termine si fa estenuante, soffocando quel poco di pathos che c’era e abbandonando il film a un destino che assume sembianze sempre più televisive, poiché abbiamo a che fare con un prodotto che in prima serata sul piccolo schermo potrebbe anche avere un suo perché, ma che in una sala cinematografica rischia solo di farci ricordare giorni migliori, quando la regista si limitava a stare davanti alla macchina da presa e lo faceva alla corte di Ingmar Bergman…

Info
La scheda di A Serious Game sul sito della Berlinale.
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