Turn Left Turn Right
di Douglas Seok
L’esordio alla regia dello statunitense di stanza a Seul Douglas Seok è ambientato in Cambogia. Turn Left Turn Right, in concorso al TFF, è un viaggio ipnotico in 12 “tracce”.
Concept album
Phnom Penh, Cambogia. Kanitha è una ventenne iperattiva e dotata di uno spirito libero. La madre, donna di vedute tradizionaliste, la vorrebbe sposata e sistemata, mentre il padre, anziano e malato, è ormai sul punto di morire. Kanitha è una sognatrice, ama la musica pop e perde un lavoro dopo l’altro, ma dentro di sé sogna di condividere con il padre l’ultima gioia della sua vita: un ricordo d’infanzia da ripescare nella memoria e una piccola cosa da fare insieme per tornare uniti come un tempo. [sinossi]
Turn Left Turn Right, come i saltelli in una danza metà tradizionale metà pop, ma anche come i due lati di un lp, da girare per poter continuare ad ascoltare le tracce. Ma anche, ancor più per entrare nel cuore dell’esordio alla regia di Douglas Seok, la possibilità forse di voltare strada, cambiare percorso di vita, o forse solo attraversare quello spazio minuscolo eppure immenso che divide la realtà dal sogno. Turn Left Turn Right inizia in maniera emblematica tra le rovine di Angkor, l’antica capitale del regno degli Khmer, il passato glorioso di una terra che per il resto ha vissuto quasi solo miserie, dolori, e confusioni. Il regista del film però non ha nulla a che vedere con la Cambogia: Douglas Seok vive a Seul, ma è nato e cresciuto negli Stati Uniti d’America, e qui si è formato partecipando per di più come aiuto alla regia ai lavori di Lee Isaac Chung Lucky Life (dramma ‘fantasmatico’ con echi poetici à la Gerald Stern) e Abigail Harm, con una magnetica Amanda Plummer. Due film sul dolore, sull’accettazione della morte, sulla perdita degli affetti. Due film selezionati al Torino Film Festival, nella sezione Onde.
Anche Turn Left Turn Right, per spirito di ricerca e destrutturazione dell’impianto narrativo canonico avrebbe potuto tranquillamente trovare collocazione ancora in Onde, ma è da approvare la scelta del team al lavoro con Emanuela Martini di concedergli spazio nel concorso lungometraggi, dove appare in ogni caso come un ufo, distante dalle ambizioni pseudo-industriali di titoli come We Are the Tide, Christine, Lady Macbeth o lo stesso I figli della notte del nipote d’arte Andrea De Sica. Forse solo Porto di Gabe Klinger, pur assai più di prammatica rispetto a Turn Left Turn Right può permettersi di dare del tu al lavoro di Seok.
Costretto a girare in una terra e in una lingua che non gli appartengono, Seok, anche autore della sceneggiatura, non lesina schegge di memoria dei tempi andati, quelli pre-Pol Pot, come la fugace apparizione su uno schermo di Dy Saveth, eroina cinematografica protagonista del classico del cinema cambogiano Puos Keng Kang/The Snake Man, noto ad alcuni con il titolo inglese The Snake King’s Wife.
Dopotutto ha lo sguardo perennemente rivolto fuori dal proprio tempo Kanitha, giovane ragazza che si arrabatta tra un lavoro in un locale e uno in un albergo (facendosi licenziare da entrambi per negligenza o, meglio, per totale nullafacenza), la mente sognante rivolta sempre al ballo, alla musica, a qualcosa che come lei possa essere presente seppur immateriale. La materia, quella viva e carnale, la riporta a una realtà di dolore con il padre morente che le dorme accanto, anziano, praticamente privo di forza negli arti. Anche per lui lavora Kanitha, per poter mettere insieme alla madre – che gestisce un microscopico negozio di sartoria – i soldi necessari alle cure, ai controlli medici. Sempre che si sia ancora “in tempo”, ovviamente…
Orchestrato come un vero e proprio concept album, suddiviso in dodici tracce che divagano dalla pura immersione nell’oblio onirico alla descrizione della vita quotidiana, Turn Left Turn Right è un esordio duro e inventivo, che gioca con l’immagine per ricrearla a propria immagine e somiglianza. Utilizzando con intelligenza tecniche antichissime – ma sempre meno di Angkor, ça va sans dire… – come la dissolvenza incrociata e la sovrimpressione dei fotogrammi, Seok firma un’opera che non ha limiti apparenti, e se si chiude in sé sfruttando la possibilità di uno sviluppo circolare lo fa con ogni probabilità solo per riecheggiare una volta di più la similitudine con la rotondità del vinile, del disco da inserire sul piatto, per ballare e ricordare. Ballare il ricordo di un momento di grazia, istante di vita che mai tornerà, ma che può rimanere nell’occhio, nel sogno. E il sogno, come insegna un altro film visto a Torino (in Onde, ancora una volta), Das unmögliche Bild di Sandra Wollner, non è detto che sia altro se non la realtà rivista. Danzata.
Info
Turn Left Turn Right sul sito del Torino Film Festival.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: Turn Left Turn Right
- Paese/Anno: Cambogia, Corea del Sud, USA | 2016
- Regia: Douglas Seok
- Sceneggiatura: Douglas Seok
- Fotografia: Steve Chen
- Montaggio: Douglas Seok
- Interpreti: Kanitha Tith, Saveth Dy, Thavy Pov, Vanthoeun Bo
- Produzione: Anti-Archive, Sea Oak Studios
- Durata: 68'