Vita nova

Presentato al Festival dei Popoli, Vita nova di Danilo Monte, co-firmato con la compagna Laura D’Amore, che ancora racconta una parte della propria esistenza. Dopo il rapporto tormentato con il fratello in Memorie – In viaggio verso Auschwitz, è ora la volta di un aspetto della vita di coppia, quello del ricorso alla fecondazione assistita.

Dieci embrioni per me posson bastare

Il film racconta l’esperienza di fecondazione assistita vissuta da Laura e Danilo. Lui è un regista, lei è la sua produttrice e insegnante di yoga. All’alba di questa difficile esperienza decidono di filmarsi, ci restituiscono un racconto intimo e profondo di questo particolare momento della loro vita. [sinossi]

C’erano una volta le teorie del cinema come atto di voyeurismo, lo spettatore che passivamente nel buio della sala vede scorrere davanti al suo sguardo le immagini filmiche, personaggi, storie, come fosse lo spione che origlia al buco della serratura. Il lavoro di Danilo Monte, in un percorso che dal precedente Memorie – In viaggio verso Auschwitz porta a Vita nova, sembra accorciare, fino ad annullarla, la distanza che tradizionalmente separa lo spettatore dall’oggetto filmico. Non c’è più la separazione di un cortile e non c’è più bisogno di un cannocchiale come nella classica metafora hitchcockiana. Monte ci porta dentro gli spazi chiusi del suo cinema che combacia con la sua stessa vita, uno scompartimento a cuccette di un treno, la sua stessa casa, spazi di condivisione. E l’esperienza dello spettatore voyeur si rivela tutt’altro che semplice. In Memorie – In viaggio verso Auschwitz questa si traduce nel disagio di assistere a situazioni private, discussioni pesanti, umiliazioni, con la consapevolezza di essere di fronte a qualcosa di assolutamente reale. L’altro cardine del regista è infatti quello di riuscire a evitare qualsiasi filtro che si possa frapporre tra sé e la macchina da presa. Ignoriamo quale sia il lavoro profilmico che vi è dietro, che presuppone evidentemente una macchina da presa sempre in mano o accesa da qualche parte, e un modo per mettere a proprio agio gli altri, come se stessi. Il risultato è comunque chiaro, ed è di una sincerità conturbante, al contrario di tanti documentari biografici blasonati e levigati, dove tante presunte confessioni sono state palesemente messe in scena.

Al cospetto di Vita nova, presentato al Festival dei popoli, quell’imbarazzo e quel disagio dello spettatore, di cui sopra, appare minore. La situazione non è tesa anche se una condizione di sofferenza si tratta. Quella di chi è privato della possibilità di procreare, di generare una nuova vita. E che deve ricorrere a surrogati clinici, con tutte le difficoltà del caso. Danilo e Laura devono fronteggiare lunghe trafile burocratiche, che non ci vengono risparmiate con tabulati e complicati dispositivi. Probabilmente un meccanismo farraginoso che è il risultato delle resistenze del mondo conservatore cattolico da sempre opposte alla legislazione sul tema. E complessa è anche la procedura medica, il prelievo di oociti e spermatozoi, a fronte di un risultato che non può essere certo. Danilo e Laura affrontano il tutto con grande serenità, anche per merito di quella disciplina meditativa, di rilassamento e ascolto del corpo, che porta avanti Laura, che pratica e insegna yoga, su cui il film indugia. Certo, ci sono momenti di sconforto restituiti senza pudore e senza pietà, e sempre nella loro genuinità. Nella cifra stilistica del regista.

Ancora una volta ci sono dei viaggi, non più catartici come quello verso Auschwitz, un luogo di sterminio da cui può rinascere la vita nella forma di un ritrovato rapporto fraterno. Sono viaggi della speranza per una nuova vita nella clinica milanese. C’è anche un messaggio sociale in questo lavoro che tratta di una pratica medica cui tanti si rivolgono e di una condizione come quella dell’infertilità che ancora nella nostra società rappresenta quasi un tabù. E nel seguire la procedura della fecondazione in vitro, Vita nova mette in scena la dinamica del concepimento, la fusione dell’ovulo con lo spermatozoo. Gli embrioni in soprannumero che Laura vorrebbe impiantare tutti, per avere una squadra di calcio come prole. Il miracolo della vita non perde del suo fascino anche se avviene in una fredda provetta di un algido laboratorio.
Quello che ci raccontano Laura e Danilo è che le ansie, le preoccupazioni, tutte le dinamiche psicologiche dell’avvicinarsi alla maternità e alla paternità sono sempre le stesse, sia che si concepisca in modo naturale che in provetta. Se il cinema di Danilo Monte assomiglia a una seduta psicanalitica, lo spettatore non è chiamato a svolgere il ruolo di analista, ma a riconoscersi nelle similitudini con la propria vita, a condividere gioie e dolori. Laura e Danilo hanno partorito un film dalla loro esperienza e la loro operazione cinematografica non è certo un qualcosa di sterile.

Info
La pagina Facebook di Vita nova.
Il sito ufficiale di Vita nova.
Il sito del Festival dei Popoli.

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