Half Nelson

Half Nelson

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Presentato in concorso al Festival di Locarno 2006 dopo essere stato acclamato a gennaio al Sundance Half Nelson è un film piccolo e fragile, sporco come la fotografia che lo pervade. Ryan Fleck esordisce alla regia con un film doloroso e accorato, dimostrando di possedere uno sguardo personale. Con un eccellente Ryan Gosling.

L’attimo è fuggito

Dan Dunne è un giovane insegnante bianco in una scuola frequentata in maggioranza da ragazzi afroamericani che vivono ai margini della società. Gli sforzi del professore per cercare di dare ai suoi studenti una formazione stimolandoli alla ricerca di uno stile di vita migliore sono resi vani quando uno di loro scopre che anche Dan vive una situazione ambigua… [sinossi]

Se il cinema indipendente statunitense ha fin dalla sua genesi sposato alla peculiarità produttiva un ben delineato senso estetico, questo binomio diventa ancora più forte e palese quando si circoscrive il tutto all’area di New York. Il cinema indipendente prodotto nella Grande Mela vive un’autonomia artistica invidiabile e pressoché unica nel panorama statunitense: buona parte del merito di questo va di diritto alla scuola di cinema della New York University, nella quale si sono formati tra gli altri Spike Lee, Jim Jarmusch e Hal Hartley.
Viene da questa esperienza anche il giovane cineasta Ryan Fleck, autore di Half Nelson, pellicola inserita nella Compétition Internationale al Festival di Locarno 2006. Potrebbe apparire desueto e in parte anacronistico definire un regista statunitense contemporaneo “militante”, eppure nessun aggettivo riuscirebbe a descrivere con maggior esattezza il ruolo all’interno della cinematografia americana svolto da Fleck: già nel suo lavoro di diploma, Struggle, spostava l’occhio sulla realtà meno illuminata del suo paese, descrivendo le torture patite durante un interrogatorio da un esponente delle Black Panthers. È stata poi la volta del documentario Have You Seen This Man? nel quale ragionava sulla deriva della società capitalistica attraverso il ritratto di un artista/uomo d’affari di Manhattan, per poi concentrarsi sulla scena hip-hop cubana descritta nell’ottimo documentario Jovenes Rebeldes. Insomma, un curriculum che non lascia troppo spazio all’immaginazione, e che permette di leggere Half Nelson come un normale approdo.

L’esordio nel lungometraggio di finzione prende corpo in realtà già nello short Gowanus, Brooklyn datato 2004: il tema di base è presente in nuce, e i personaggi della giovane studentessa di colore Drew e del suo insegnante Dan Dunne svolgono già la funzione di protagonisti assoluti della vicenda. La trama di Half Nelson, che si dipana nel sottobosco criminale di Brooklyn attraverso gli occhi e le (dis)avventure della studentessa e del suo giovane insegnante di storia, permette a Fleck di immergersi in apnea in un mondo fotografato con cadenza regolare dall’industria hollywoodiana ma raramente messo a fuoco con precisione. L’ambientazione è quella classica di molti film incentrati sulla figura dell’insegnante che cerca di portare sulla buona strada le sue pecorelle smarrite in un mondo sporco e barbarico: da Blackboard Jungle di Richard Brooks a The Principal di Christopher Cain, fino ai più recenti Dangerous Minds di John N. Smith e Sister Act 2 di Bill Duke, il grande schermo ha visto passare professori eroici e anticonformisti capaci di lottare con tutte le loro forze in un ambiente di periferia retrogrado e violento, e a far prevalere l’utopia sulla realtà.

Non ci vuole molto a capire che le intenzioni di Fleck e della co-sceneggiatrice e produttrice Anna Boden (il binomio finora sembra indistruttibile) siano ben diverse: Dan Dunne, sapientemente interpretato da Ryan Gosling – già visto e apprezzato in The Believer di Henry Bean, Murder by Numbers di Barbet Schroeder e soprattutto nel crudo The United States of Leland di Matthew Ryan Hoge –, non è l’educatore perfetto e incorruttibile che il ruolo pretenderebbe, e la classe che segue non è abitata da criminali e menefreghisti. Il gioco si fa dunque intrecciato, la trappola del manicheismo se ne va bellamente a farsi benedire e a far capolino dalla struttura (ben) scritta è addirittura la realtà: l’America del 2006 descritta da Fleck e Boden è una terra alla deriva, dove chi parte socialmente svantaggiato non avrà mai l’occasione per evolvere la propria condizione di vita, una terra diseguale e senza legge, perché l’unica legge che è prevista è quella dell’autoconservazione, una terra priva di storia. Proprio quella storia che Dunne cerca di portare alla luce nelle sue lezioni, e che di volta in volta viene scandagliata dai giovani interrogati, con scheletri nell’armadio (vedi il golpe cileno di Pinochet appoggiato senza remore dal “Premio Nobel per la pace” Henry Kissinger) che pochi cineasti americani hanno il coraggio di andare a (ri)scoprire. Lo studio della storia è evoluzione, cambiamento, arricchimento: questo insegna Dunne ai suoi studenti, e questo lo colpisce in prima persona nella vita privata, allorquando cade. Senza mai rialzarsi veramente: ecco dunque che Half Nelson si trasforma nel delicato ritratto di un’amicizia impossibile, lontana dai canoni e dalle schematizzazioni, silenziosa e riottosa allo stesso tempo. L’amicizia tra due persone che sono a loro modo vittime e carnefici della società descritta in precedenza: nella New York e negli Stati Uniti (ma allargando il discorso non sarebbe difficile immaginare una società simile in Europa o in Giappone) di Fleck l’utopia non può sconfiggere la realtà, le lezioni non cambiano il corso della storia e l’uomo non è in grado di essere più forte del fato, ma un rimasuglio di speranza c’è ancora. È silenzioso, racchiuso in un divano malmesso di uno squallido appartamento e in due persone che hanno perso tutto (Dunne) e sanno che non potranno mai avere niente (Drew, quest’ultima interpretata da Shareeka Epps, che aveva esordito sempre nello stesso ruolo in Gowanus, Brooklyn e che vedremo l’anno prossimo nello spaccato della Beat Generation Neal Cassady diretto da Noah Buschel) si sorridono.
Un film piccolo e fragile, Half Nelson, sporco come la fotografia che lo pervade, con la macchina da presa a inseguire da vicino i personaggi, pronta a saltargli letteralmente addosso, che potrebbe aver dato il via a una carriera cinematografica da seguire con attenzione. Perché, pur nella cristallizzazione dello schema cinematografico newyorkese, Ryan Fleck qualcosa da dire ce l’ha. E non sembra soffrire di timori reverenziali.

Info
Il trailer di Half Nelson.
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