Pesaro 2008 – Bilancio
Cala dunque il sipario anche su Pesaro 2008, quarantaquattresima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, tra più luci che ombre. Le prime riguardano l’impianto dato al festival; non che ci siano stati stravolgimenti rispetto agli anni passati, sia ben chiaro, ma l’impressione è stata quella di trovarsi di fronte a un panorama più composito del solito.
Laddove ultimamente Pesaro correva il rischio, a nostro modo di vedere, di perdere il proprio ruolo dominante nel contesto cinematografico italiano per quel che concerne il cinema nuovo (termine questo a dir poco ambiguo), Pesaro 2008 ci restituisce una kermesse in grado di guardare al futuro senza porre paletti ideologici durante il percorso. Dimostrazione palese di questo è stato possibile rintracciarla in tutto quell’universo visivo che fa da cornice al concorso principale (dove ha fatto splendida mostra di sé il giustamente osannato, anche dalla giuria, Flower in the Pocket del regista malese Liew Seng Tat, già trionfatore al Festival di Rotterdam e a quello di Pusan), a partire proprio dall’Evento Speciale dedicato a Dario Argento. Scelta a dir poco coraggiosa che ci sentiamo in dovere di applaudire; non tanto (o per meglio dire, non solo) per la qualità del tracciato autoriale sul quale si muove il cinema di questo caposaldo del thriller mondiale, ma per la capacità di far virare il festival verso territori solitamente poco battuti quali il thriller, l’horror, il fantastico.
Nella completezza della proposta – unico assente, giustificato, Quattro mosche di velluto grigio, per i ben noti problemi legali che ne rendono complessa la visione – si è avuto modo di spaziare dai capolavori universalmente riconosciuti (la cosiddetta trilogia degli animali, e poi Profondo rosso, Suspiria, Inferno) fino alle ultime controverse creature (l’indifendibile Il cartaio, l’imperfetto ma ammaliante La sindrome di Stendhal, il mediocre Nonhosonno) passando per un caleidoscopio di interviste, interventi televisivi, cortometraggi, grazie al certosino lavoro di Pierpaolo De Sanctis che ha selezionato le perle nascoste di un personaggio che fu capace, durante gli anni ’80, di trasformare il ruolo di regista in quello di vera e propria rockstar per le masse. A conti fatti, ammettiamo di aver (ri)scoperto un film come Opera e di esserci ricreduti – in negativo – su Tenebre; ma questi sono giochetti che probabilmente lasciano il tempo che trovano.
Non lascia il tempo che trova, altresì, lo scandaglio del cinema tedesco contemporaneo portato avanti da Giovanni Spagnoletti e dal suo entourage: un modo per aprire gli occhi su una realtà produttiva a noi sconosciuta per quanto geograficamente vicina. Eppure autori come Philip Gröning, Romuald Karmakar, Hans-Christian Schmid sono oramai delle certezze del cinema europeo. Anche gli altri omaggi, quello al regista malese Amir Muhammad (la cui opera fu possibile vederla già l’anno scorso durante le giornate dell’Asian Film Festival; a Pesaro è stato presentato in anteprima mondiale il suo ultimo lavoro Susuk, horror a carattere metacinematografico non privo di ironia), e il ripescaggio dagli anfratti della memoria del monumentale La hora de los hornos di Fernando Solanas – passato a Pesaro quarant’anni fa -, dimostra la volontà ferrea del festival di focalizzare il proprio sguardo a livello mondiale. Volontà confermata dal fluttuare, tra i film proiettati in piazza, di Kira Muratova, della consolidata coppia Rezza/Mastrella, dell’ultimo capolavoro di Arnaud Desplechin Un conte de Noël, già visto a Cannes, di Svetlana Proskurina e via discorrendo.
Se l’edizione di Pesaro 2008 poteva essere interpretata come un punto di non ritorno (ombre minacciose, come dicevamo in principio, si affollavano all’orizzonte dopo gli ultimi altalenanti anni), possiamo definirci senza dubbio soddisfatti. Resta il rammarico, endemico, per la mancanza di pubblico alle proiezioni. Certo, Profondo rosso ha fatto il tutto esaurito (e questo è un dato senz’altro significativo, su cui il festival dovrebbe ragionare), ma basta?
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