La vie lointaine

La vie lointaine

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Il cinema misterico e affascinante di Sébastien Betbeder torna con La vie lointaine, viaggio nell’immaginario fantasmatico e fantastico.

Il giapponese, i due orsi e la ragazza che cadeva dal cielo

Il trentenne Martin va a vivere in una casa isolata nella campagna francese. Una notte, al limitare del bosco dinanzi l’abitazione, un uomo gli appare nel buio e lo invita a perdersi nella foresta «per incontrare uno Straniero». Il giorno dopo Martin segue il suo consiglio e incontra un regista che, insieme con la sua assistente,
sta scrivendo un film ispirato a La Vie lointaine, un romanzo incompiuto dello scrittore giapponese Haruki. Ma l’uomo del bosco era il fantasma di Haruki e a Martin toccherà diventare il protagonista della sua «vita lontana».
[sinossi]

Se c'è uno scopo che La vie lointaine assolve in maniera efficiente e doverosa, è quello di confermare la statura autoriale di Sébastien Betbeder: avevamo avuto modo di accorgercene già nel corso degli ultimi anni, prima con il corto Les mains d'Andréa e quindi, con maggior consapevolezza, nell'istante in cui i nostri occhi si erano posati sul lungometraggio d'esordio Nuage. Rispetto a quest'ultimo, La vie lointaine si muove su territori simili ed estremamente diversi allo stesso tempo: come il suo predecessore, questo mediometraggio agita un sottobosco visionario e argutamente favolistico, lavorando la materia narrativa per allitterazioni, associazioni d'idee, retaggi artistici tra i più disparati. Diversamente da Nuage però, si avverte un'esigenza strettamente iconografica di tutt'altro genere: laddove lì era il panorama, con la dispersione dello sguardo a gravitare dapprima sul visibile (la campagna francese) quindi sull'invisibile (la nebbia), in La vie lointaine veniamo letteralmente bombardati da un universo allucinatorio e allucinogeno. Fantasmi di scrittori giapponesi che si aggirano per il bosco di notte, due enormi orsi sloveni di peluche che parlano un francese fluente e amano arricchire le proprie affermazioni con citazioni di Nietzsche e Merleau Ponty, una paracadutista dilettante che scende dai cieli all'improvviso, un regista a sua volta nipponico che si diverte a mescolare la musica tradizionale del suo paese con le canzoni di Salvatore Adamo, gli ultimi disegni lasciati dallo scrittore giapponese come completamento del suo romanzo che prendono improvvisamente vita e cercano di vendicarsi su chi in carne e ossa lo è da sempre.

Questi sono i personaggi che entrano ed escono da La vie lointaine, il cui fulcro resta Martin, entrato in coma il giorno del suo trentatreesimo compleanno e uscitone un mese dopo: risorto a nuova vita, come le anime derelitte che gli si muovono attorno, in questo balletto surreale e ammaliante. Come la colonna sonora di Sylvain Chauveau, sommo compositore contemporaneo, che si insinua tra i condotti d'aria dell'ex monastero di campagna in cui si svolge gran parte della vicenda, e ci coglie di sorpresa le orecchie, anche la regia di Betbeder si fa di volta in volta subdola, misteriosa, evanescente e carnale: i morti tornano perché nel mondo della finzione in cui viviamo non ha più senso distinguere tra l'esistente e l'impossibile. Si tratta solo ed esclusivamente di una scelta, consapevole o meno che sia: che importanza ha se le immagini che ci hanno attraversato la mente si materializzano o se siamo noi a metabolizzare ciò che ci circonda e a convincerci di averlo immaginato? Un esempio di cinema filosofico e coraggiosamente teorico che non ha alcun timore a sfondare il muro dell'accettabile (quanto sono straordinariamente fuori luogo e fuori senso quei due orsi!), perché conscio della materia filmica di cui è composto: La vie lointaine è un grande film del mistero, e come una fede bisogna accettarlo per comprenderlo fino in fondo. Una sfida che vi consigliamo di accettare senza remore, in vista di un risultato gratificante.

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