Focaccia Blues

Focaccia Blues

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Nonostante il soggetto potenzialmente esplosivo, Focaccia Blues non ha saputo scommettere sulla forza delle proprie gambe e ha per questo avuto bisogno di procurarsi delle protesi. Protesi narrative, s’intende, che hanno come obiettivo dichiarato quello di farsi contrappunto alla storia reale.

Lampascioni di tutto il mondo, unitevi!

Qualche anno fa ad Altamura, un Comune della Puglia, venne inaugurato tra la curiosità della gente del luogo un grande McDonald’s di 550 metri quadri. Dopo qualche mese, Luca Digesù, avendo un locale proprio accanto al gigante americano, decise di aprire una piccola panetteria in cui produceva la sua piccola specialità: la focaccia. Lentamente, da quel momento, giorno dopo giorno, la concorrenza leale del panettiere altamurano mise sempre più in crisi il grande Fast Food, che da lì a pochi mesi fu costretto a chiudere… [sinossi]

La storia alla base di Focaccia Blues è, di per sé, talmente bizzarra da sembrare nient’altro che il frutto fantasioso di uno sceneggiatore di successo. Invece, come spesso capita, è tratta da una storia talmente vera da aver fatto il giro del mondo finendo sulle pagine di tutti i giornali. E si apre proprio così Focaccia Blues, come per segnalare prima di tutto la propria discendenza veritiera, con gli strilli dei quotidiani che campeggiano in bella vista sui titoli di testa. La storia è quella di un’Italia che non s’arrende all’avanzata della globalizzazione e che s’ingegna, adoperando le stesse armi del libero mercato ovvero sfruttando la libera concorrenza, per sconfiggere il colosso dell’omologazione enogastronomica mondiale (McDonald’s, ça va sans dire…). Qualche anno fa, infatti, nel cuore delle Puglie, come amano chiamarla gli stessi abitanti, ad Altamura per la precisione, viene inaugurato un nuovo store della multinazionale americana: ora, si dà il caso, che Altamura oltre a dare il nome ad uno dei pani più buoni d’Italia sia anche la patria della focaccia. Unite tutto ciò all’orgoglio innato tipico dei pugliesi per i prodotti della loro terra – una terra pure arida e forse per questo ancor più da amare quando dà buoni frutti – e otterrete un mix esplosivo: Luca Digesù, appartenente a una storica famiglia di fornai, apre dirimpetto a McDonald’s una piccola focacceria e in poco tempo, e senza tanta pubblicità, costringe in pratica il colosso americano a fare baracca e burattini e a tornarsene a Chicago insieme ai loro McQualcosa.

Arrivati a questo punto non possiamo esimerci dal notare quanto sia potenzialmente esplosivo il soggetto alla base di quest’opera. I problemi arrivano quando dall’idea si passa alla pratica e il film esce dalla carte e si materializza sulla pellicola. Arriviamo subito al dunque: Focaccia Blues non ha avuto la forza di essere solamente un documentario. Siamo d’accordo che la distanza temporale con gli eventi abbia sottratto sicuramente qualche chance ai creatori della pellicola, costringendoli a raggranellare altrove idee/spazi/tempi, però potevano essere studiate delle alternative sempre all’interno dello stesso linguaggio (o genere, qual dir si voglia, non è certo questa la sede adatta per discorrere della natura del cinema del reale) documentario. Si poteva, ad esempio, provare a contattare i dirigenti della McDonald’s per chiedergli della scelta – rivelatasi fallimentare – di aprire un punto vendita proprio ad Altamura, magari trasformandosi per un attimo in un Michael Moore d’annata (quello di Roger & Me, per intenderci) che seguiva camera in spalla il presidente della General Motors. Allora sì che avrebbe avuto senso la tranche narrativa ambientata negli Usa, che invece così sembra essere nient’altro che un braccio un po’ posticcio, messo lì alla bell’e meglio. Ancora una volta, dispiace dirlo, non si è creduto nelle potenzialità del reale, nel valore incommensurabile che ha la pura e semplice realtà, soprattutto se guardata con occhio partecipe e rigoroso. Senza andare troppo lontani con i paragoni, basta buttare un occhio ad un documentario di recente produzione (Rumore bianco) che, senza avere alle spalle una storia frizzante come quella di Focaccia Blues ma anzi mettendo in scena la poco appetitosa storia di un semplice fiume, è riuscito ad andare ben oltre al mero dato del contingente pur partendo da basi realissime. Focaccia Blues, invece, non ha saputo scommettere sulla forza delle proprie gambe e ha per questo avuto bisogno di procurarsi delle protesi. Protesi narrative, s’intende, che hanno come obiettivo dichiarato quello di farsi contrappunto alla storia reale, quasi mettendo in scena la propria parte documentaria. L’idea di intrecciare, dunque, la parte meramente documentaristica a quella di fiction non ha assolutamente giovato al complesso dell’opera, anche se bisogna dire che le due istanze sono state davvero ben amalgamate, segno di una certa cura nella scrittura che davvero non merita di essere sottostimata. Eppure, nonostante questa argutezza di sceneggiatura, il peso della fiction, del suo sguardo massiccio e statico sul reale, si avverte, eccome. Altamura, dietro ai quei personaggi che il film mette in scena, non sembra esserci. La camera di Nico Cirasola è spesso talmente stretta su di loro da non lasciare nulla ai vicoli nei quali si svolge l’azione, se non una pallida immagine sfocata. Verrebbe da dire, paradossalmente, che la parte americana guarda meglio al territorio, all’ambiente, di quella altamurana, dove si svolge gran parte dell’azione e dove sta, ovviamente, il cuore pulsante della pellicola.

Certo, non tutto ciò che vi è di fiction è da buttare, sia chiaro. Innanzitutto si ride. Soprattutto con Arbore e Banfi che discettano di lampascioni e delle note proprietà lassative ivi contenute, occhieggiando continuamente alla storica rivalità tra Foggia e Bari che rappresentano. Non mancano poi trovate, sia di regia che di sceneggiatura, su cui val la pena soffermarsi un attimo: c’è quella esilarante del navigatore satellitare nella decappottabile di Manuel, che via via dà indicazioni sempre più inutili; e poi quella in cui una M gigantesca, l’alto e luminoso totem di McDonald’s per intenderci, fa ombra a dei bei pomodori che si essiccano al sole sotto lo sguardo impietrito di Dante (bella prova verace di Dante Marmone). Classico esempio di come una soluzione visivo/narrativa semplice ed efficace possa valere molto più di tante parole.

Info
Il trailer di Focaccia Blues.

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