Slice
di Kongkiat Khomsiri
Con Slice torna all’opera il genio visionario di Kongkiat Khomsiri, già tra gli autori del folgorante Art of the Devil 2 (all’interno del ‘Ronin Team’) e qui alle prese con un film che omaggia il giallo all’italiana, tra luci impossibili e devianze della mente…
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Più il Far East Film Festival avanza con l’età (e si sta parlando oramai quasi di un teenager), più il tradizionale Horror Day palesa un predominio pressoché incontrastato da parte della Thailandia; titoli come Sick Nurses, The Screen at Kamchanod, 13 – Beloved, Dorm e 4Bia (solo per citarne alcuni) dimostrano in maniera inequivocabile come nel sud-est asiatico il luogo deputato a ragionare sull’orrore e a portarlo in scena sia Bangkok e i suoi dintorni.
Non ha fatto eccezione, in tal senso, nemmeno l’edizione dodici della kermesse friulana: dei quattro titoli riconducibili al genere proposti nella giornata – si esclude il recupero retrospettivo dell’ottimo Ghost Story of Yotsuya di Nobuo Nakagawa – i due più convincenti sono risultati, a conti fatti, il genialoide seguito del già citato 4Bia, vale a dire Phobia 2 e l’attesissimo Slice di Kongkiat Khomsiri, presentato nella sala del Teatro Nuovo Giovanni da Udine da un Federico Zampaglione impegnato nel tour promozionale della sua opera seconda Shadow.
Il leader dei Tiromancino, nel cercare le parole adatte a descrivere Slice, ha tirato in ballo il nome di Mario Bava, in particolar modo per l’utilizzo decisamente sperimentale del colore. Un apparentamento non del tutto fuorviante, a dir la verità, ma che non basta a circoscrivere il valore artistico dell’opera quarta di Khomsiri, lampo improvviso di un cinema slabbrato ma inclassificabile, decisamente lontano dalla prassi del genere. Non che questa possa essere considerata una considerazione sorprendente, in particolar modo dopo aver annotato i due nomi ai quali è legata l’idea di base di Slice, vale a dire il già citato Khomsiri e nientemeno che Wisit Sasanatieng, che ha elaborato il soggetto prima di passarlo nelle mani del collega. Non è la prima volta che i due registi collaborano, e anche nell’occasione precedente si trattava di un horror: The Unseeable, diretto da Sasanatieng e sceneggiato da Khomsiri, cercava di trasportare nella campagna thailandese le gotiche atmosfere ectoplasmatiche proprie della letteratura anglosassone del diciannovesimo secolo. Operazione non completamente riuscita (e ben lontana dagli standard di eccellenza a cui aveva abituato Sasanatieng con Le lacrime della tigre nera e Citizen Dog), ma che segnalava la volontà da parte del duo di muoversi in direzione difforme dalla prassi produttiva dell’ex reame del Siam.
In questo senso Slice non può che essere considerato un ulteriore passo avanti, da un punto di vista contenutistico e formale: abbandonato il languido mood mortuario di The Unseeable, Khomsiri trascina lo spettatore in una vera e propria deflagrazione cromatica, lavorando sulla fotografia – curata personalmente dallo stesso cineasta insieme a Thanachat Boonlar – con un coraggio raramente riscontrabile nell’horror contemporaneo, in una sovrapposizione di grane e formati che stordisce e avviluppa lo sguardo. Il genere, tra l’altro, viene spostato dai territori del thriller canonico soprattutto grazie a una escalation di violenza e depravazione che non scende a compromessi con niente e con nessuno, proponendo mutilazioni, sevizie e altre aberrazioni assortite con una crudezza sempre in grado di evitare pericolosi scivoloni nell’autocompiacimento. In questo senso è possibile riscontrare la mano di Khomsiri, già apprezzata in passato per inabissamenti nel significato più estremo del terrore (Art of the Devil 2, firmato collettivamente dal cosiddetto Ronin Team) e ariose divagazioni nelle arti marziali (Muay Thai Chaiya); anche Slice si muove su un terreno vario, tra salti temporali e spaziali – non sempre adeguatamente incastrati – e inversioni di ritmo. A risentirne è senza dubbio in parte la sceneggiatura, forse troppo legata alla volontà del regista di elaborare formalmente un’opera dalla catalogazione impossibile: gli strappi narrativi ogni tanto si sentono, e al di là della fascinazione per una trama contorta e sadica, di quando in quando si corre il rischio di perdere attenzione agli eventi che si accavallano sullo schermo per concentrarsi esclusivamente sulle sorprendenti scelte di regia e di montaggio. Ma sono peccati di poco conto, perché in un’epoca in cui il cliché sembra aver preso il sopravvento in maniera definitiva, con l’orrore che appare sempre più una ricetta marchiata e standardizzata, un film come Slice risveglia dal torpore, costringendo a guardare, a spalancare gli occhi, straziandoli alla stessa stregua dei corpi macellati dal serial killer di rosso vestito.
E allora ben venga anche un’opera imperfetta, in alcuni punti persino “sbagliata”, ma viva, riottosa, mai incline alla sottomissione. L’horror in Thailandia ha (quasi) sempre una sua peculiarità. Quante altre cinematografie possono affermare lo stesso?
Info
Il trailer di Slice.
- Genere: drammatico, thriller
- Titolo originale: Cheun
- Paese/Anno: Thailandia | 2009
- Regia: Kongkiat Khomsiri
- Sceneggiatura: Kongkiat Khomsiri, Wisit Sasanatieng
- Fotografia: Kongkiat Khomsiri, Thanachat Boonlar
- Montaggio: Sunij Asavinikul
- Interpreti: Arak Amornsupasiri , Artthapan Poolsawad, Chatchai Plengpanich , Jessica Pasaphan , Sikarin Polyong, Sonthaya Chitmanee
- Colonna sonora: Wild at Heart
- Produzione: Five Star Productions
- Durata: 99'
