The Legend is Alive

The Legend is Alive

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The Legend is Alive di Luu Huynh cade sotto I colpi di un’inconsistenza fin troppo evidente. Povero di idee e ancora di più di stile, spacciato in maniera scandalosa come un martial arts action dalle coreografie spettacolari e adrenaliniche, la pellicola perde rapidamente credibilità e con essa il carico di aspettative che un appassionato di cinema di arti marziali poteva avere nei suoi confronti. Al Far East 2010.

L’ombra del padre

Nonostante sia menomato mentale l’orfano Long diventa un esperto di arti marziali. Alla morte della madre scopre di essere figlio di Bruce Lee. Decide di portare al padre le ceneri della madre. Durante il viaggio incontra una ragazza in difficoltà e per difenderla userà tutto il suo repertorio di mosse letali. [sinossi]

Si sa che il cinema è l’arte della mistificazione, quindi alterare la realtà dei fatti e il corso degli eventi della Storia diventa possibile. Di conseguenza gli sceneggiatori acquistano poteri divini, che gli consentono di decidere del destino dei personaggi, di controllare a proprio piacimento il tempo e di plasmare a seconda delle esigenze lo spazio. Dunque, non sorprende che Luu Huynh per la sua nuova fatica cinematografica si sia preso parecchie libertà, prima in fase di scrittura e poi in quella di produzione. Ma quando si scherza troppo con il fuoco si finisce con lo scottarsi. Con The Legend is Alive, Il regista vietnamita ha finito con il bruciarsi le ultime carte a disposizione in termini di credibilità, abusando della pazienza dello spettatore che già in passato gli aveva perdonato i tanti peccati di gola del bellico The White Silk Dress, per il semplice fatto che si trovava a fare i conti con le ingenuità e le difficoltà che un’opera prima comporta.

Stavolta non ci sono alibi e scuse, perché tirando troppo la corda inevitabilmente ha finito con lo spezzarla. Se il plot in qualche modo ha il merito di attirare come una calamita lo spettatore di turno, puntando sulla rievocazione nostalgica di un mito indimenticabile come quello di Bruce Lee, la resa finale demolisce in maniera devastante tutte le possibili aspettative di appassionati e non. Il fatto di aver sconvolto persino la biografia di Lee, attribuendogli una presunta scappatella con una maestra di arti marziali vietnamita prima del decesso in quel di Hong Kong nel lontano 1973, che ha dato alla luce tra l’altro il Long protagonista della pellicola interpretato in maniera pessima da Dustin Nguyen, aumenta ancora di più la delusione trasformandola in rabbia. Rabbia perché un simile azzardo, per carità lecito e non dissacrante a nostro avviso a differenza di quanto potrebbero sostenere bigotti conservatori, non ha rappresentato minimamente un valore aggiunto per il film ma solo un veicolo pretestuoso per attirare pubblico. Del resto il nome di Bruce Lee è stato utilizzato svariate volte per opere cinematografiche e televisive, soprattutto post-morte, non solo per biopic a lui dedicati come ad esempio Dragon di Rob Cohen oppure la serie tv in cinquanta episodi La leggenda di Bruce Lee, ma anche per altre pellicole più o meno riuscite, vedi Kickboxers – Vendetta personale di Corey Yuen nel quale lo spirito di Lee risorge dalla tomba per aiutare il protagonista a sconfiggere in un incontro all’ultimo sangue un fortissimo avversario russo.

The Legend is Alive segue miserabilmente l’esempio delle tante vergognose operazioni cinematografiche che hanno solo sfruttato il nome del celebre attore e regista per attirare il pubblico in sala, consegnando agli archivi e ai database internazionali titoli di pessima fattura. Il film diretto da Luu Huynh cade sotto I colpi di un’inconsistenza fin troppo evidente. Povero di idee e ancora di più di stile, spacciato in maniera scandalosa come un martial arts action dalle coreografie spettacolari e adrenaliniche, la pellicola perde rapidamente credibilità e con essa il carico di aspettative che un appassionato di cinema di arti marziali poteva avere nei suoi confronti. Il regista vietnamita sembra aver dimenticato che un film di arti marziali si dovrebbe basare sulle coreografie, belle e brutte che siano, ma nel caso di The Legend is Alive oltre ad essere scarse dal punto di vista tecnico-stilistico (una su tutte quella sul quale si regge l’epilogo sulla spiaggia), subentrano nella storia solo dopo un’ora dall’inizio del film. Ralenti, accelerazioni e freeze frame non bastano per salvare un prodotto che fa acqua da tutte le parti, tanto dal punto di vista della regia, decisamente anonima e priva di spunti visivi, quanto da quello più squisitamente narrativo, con uno script che fa della mancanza di originalità l’anello debole della catena. Quante volte, infatti, dovremo ancora vedere una storia in cui il protagonista affetto da una malattia diventa una macchina da combattimento? Per quanto ci riguarda meglio di Danny the Dog di Louis Leterrier e Chocolate di Prachya Pinkaew al momento non si è ancora riusciti a fare.

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Il trailer di The Legend is Alive.

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