Boys on the Run

Boys on the Run

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Selezionato all’interno del programma del Far East Film Festival 12, Boys on the Run di Daisuke Miura è un film ondivago, che si muove perennemente sul confine che separa la commedia dalle derive demenziali, e che colpisce nel bersaglio solo a tratti, e in modo completamente schizoide.

Salary Man Uppercut

Tanishi è un umile venditore che passa le giornate a riempire i distributori automatici di giocattoli, si masturba guardando film porno ed è ossessionato da Chiharu, una collega. Ventinovenne vergine che vive ancora insieme ai suoi genitori e non riesce ad avanzare all’interno della propria azienda, Tanishi sa di essere un completo fallito. Ma nel momento in cui Aoyama, un venditore che lavora per la concorrenza, disinvolto e senza scrupoli, gli soffia Chiharu, Tanishi cade prima preda della depressione, per poi iniziare a covare una rabbia incontrollata pronta a esplodere da un momento all’altro… [sinossi]

Giunto con Boys On the Run al terzo lungometraggio, dopo l’esordio First Love (2003) e Soul Train (2006), il cinema di Daisuke Miura, trentacinquenne cineasta nativo di Tomokomai, nell’isola di Hokkaido, si segnala in modo inequivocabile per l’insolita centralità assegnata dal regista alla tematica sessuale. Sfruttando infatti tutte le declinazioni possibili e immaginabili, Miura si sta passo dopo passo lanciando in un’analisi approfondita e tutt’altro che pretestuosa sul ruolo del sesso e, per accezione ampliata, dell’erotismo nella cultura nipponica del terzo millennio. Già solo questo accenno dovrebbe rendere con una certa chiarezza il grado di interesse che il ruolo di Miura sta acquistando all’interno della cinematografia giapponese contemporanea: pur mettendo in scena opere che finora non hanno mai dimostrato una vera e propria compiutezza (per quanto in Giappone il giovane autore sia oggetto di culto per una buona fetta della cinefilia, in particolar modo quella delle nuove e nuovissime generazioni, e il suo First Love sia considerato non senza una punta di esagerazione uno degli esordi più rimarchevoli del decennio), il suo sguardo non merita di essere trattato con sufficienza.

La dimostrazione palese del fatto che quanto appena affermato corrisponde a verità è racchiusa nelle due ore o poco meno sulle quali si dipana Boys On the Run, selezionato all’interno del programma del Far East Film Festival 12: un film ondivago, che si muove perennemente sul confine che separa la commedia dalle derive demenziali, e che colpisce nel bersaglio solo a tratti, e in modo completamente schizoide. Da principio l’impianto scenico allestito da Miura sembra indirizzato verso la più classica delle commedie nipponiche, densa di cattivo gusto e apparentemente poco intenzionato all’autocensura: ma si tratta solo di un abbaglio, perché la componente strettamente legata al rapporto con il sesso del nerd protagonista – interpretato da un eccellente Kazunobu Mineta, ammirato durante le giornate della kermesse udinese anche nel ruolo dell’utopista della controcultura Hige-Godzilla nel divertente Oh, My Buddha! di Tomorowo Taguchi: senza dubbio un nome da appuntarsi con cura – serve a Miura solo per introdurre l’azione e circoscriverla nell’ambiente lavorativo. Messa da parte questa prima metà del film, ricorrendo comunque a stratagemmi comici e narrativi a volte fin troppo abusati e prevedibili – in questo senso risulta fin troppo sfocato e a tratti superfluo il personaggio della prostituta che ha il volto e l’inconfondibile voce di You, musa di Hirokazu Kore-eda in Nobody Knows e Still WalkingBoys On the Run cambia radicalmente marcia, spostandosi su territori inesplorati fino a questo momento. A guidare il meccanismo è ora un rauco eppur vitale urlo punk, del tutto estraneo a compromessi di qualsivoglia tipo.

La rivolta cercata con cocciutaggine e disperazione da Tanishi non è solo contro il bellimbusto Ryuhei Matsuda (a proposito, è sempre un gran piacere assistere alle performance di questo eclettico attore, in grado di passare da prodotti commerciali come quello in questione a incursioni nel cinema d’autore, come dimostrato con Nagisa Oshima, Shinya Tsukamoto e nello sconvolgente Izo di Takashi Miike), ma contro un intero sistema sociale e umano che lo relega senza possibilità di invertire la marcia nella carreggiata dei perdenti. La grande idea che rivitalizza Boys On the Run e lo guida in un crescendo inarrestabile e coinvolgente non sta però nella capacità di Tanishi di riparare ai torti subiti più o meno per colpa altrui nel corso della sua miserabile esistenza. Al contrario, Miura non descrive una parabola vendicativa, ma eleva al grado di eroe un uomo che non potrà mai vincere, ma almeno sa perdere con tutto se stesso, senza mai risparmiarsi, senza mai cedere brandelli di orgoglio al proprio pudore: in un finale travolgente, slabbrato e crudele, Boys On The Run diventa il canto sguaiato, doloroso ma ghignante dell’uomo qualunque, del nerd, del reietto. In questo è racchiuso quell’urlo punk cui si faceva riferimento in precedenza: il salary man uppercut che Tanishi studia con abnegazione preparando lo scontro non andrà mai a segno realmente, ma è stato comunque scagliato, con forza e rabbia.

E quando sui titoli di coda esplodono le note della canzone Boys On the Run, cantata dallo stesso Mineta con il suo gruppo Ging Nang Boyz, resistere alla tentazione di unirsi in coro al ritornello è davvero difficile.

Info
Il trailer originale di Boys on the Run.
La scheda di Boys On the Run sul sito del Far East.
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  • boys-on-the-run-2010-daisuke-miura-01.jpg

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