The American

The American

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Tre anni dopo Control, il fotografo Anton Corbijn torna dietro la macchina da presa con The American, mancando completamente il bersaglio. Contribuisce al pessimo risultato finale il cast completamente inappropriato, a partire da un Clooney bolso, svogliato e monocorde. Fuori parte risultano i vari Paolo Bonacelli, Filippo Timi e soprattutto Violante Placido, utilizzata come puro e semplice oggetto di scena, corpo da mostrare.

Tu vuo fa’ l’americano

Solo e unico tra gli assassini, Jack è un esperto artigiano. Quando un lavoro in Svezia finisce in maniera più cruenta di come se lo sarebbe aspettato, promette al suo contatto Larry che il suo prossimo incarico sarà l’ultimo. Jack si ritira infatti nella campagna italiana, dove si nasconde in un piccolo paesino sperduto e gode la lontananza dalla morte. Il suo compito, come assegnatoli da una donna belga, Mathilde è nella costruzione di un’arma superletale. Sorprendendo se stesso, Jack si rivolge al prete locale Padre Benedetto e inizia una relazione amorosa con Clara. Nell’uscire dalla solitudine e dall’oscurità Jack provoca però la sorte… [sinossi]

Quando tre anni fa Anton Corbijn, fotografo e regista di videoclip tra i più celebrati degli ultimi decenni, esordì alla regia con Control, biopic dedicato alla vita, all’arte e alla morte del leader dei Joy Division Ian Curtis, furono in molti a gridare al miracolo. Anche noi, abbagliati dal rigore visivo e dall’asciuttezza narrativa del film, applaudimmo ammirati l’ingresso nel mondo del cinema di quella che a tutta prima sembrava una figura destinata a contribuire al rinnovamento della settima arte. Pur non avendo alcuna intenzione di scivolare nell’errore opposto, vale a dire quello di rileggere il risultato artistico raggiunto con Control alla luce di The American, siamo costretti ad aggiustare il tiro per quel che concerne le aspettative sulla carriera futura del cineasta olandese. Sul progetto di The American giravano voci più o meno incontrollate da mesi, per lo meno da quando George Clooney (dopo aver acquisito i diritti di riduzione per il romanzo di Martin Booth) aveva pubblicamente annunciato la propria intenzione di portare a termine un film tra i monti dell’Abruzzo colpiti dal terremoto, per “dare una mano a una terra martoriata”.

Il risultato finale, tralasciando le velleità sociali e umanitarie che ben poco riguardano la messa in scena in senso stretto e sulla veridicità delle quali non ci sono strumenti idonei per giungere a un giudizio oggettivo, è a dir poco imbarazzante. La storia del killer a pagamento Jack/Edward, stanco della sua vita da assassino al soldo del potere e deciso a prendersi una bella pausa di riflessione nel rilassante paesaggio rurale dell’Abruzzo, immerso nell’immoto silenzio degli Appennini, aveva in fin dei conti tutti i crismi per inserirsi di prepotenza nell’immaginario noir contemporaneo. Pur tracciando le fila di un percorso umano e cinematografico fin troppo schematico e prevedibile, con l’oscuro personaggio protagonista alla ricerca di un’improbabile felicità attraverso l’addio a una professione che non ammette pensionamento, The American avrebbe potuto far leva su un’ambientazione fuori dai canoni, lontana dagli standard che solitamente relegano il genere all’interno di un panorama prettamente urbano. Il condizionale è d’obbligo, visto lo scempio compiuto in fase di sceneggiatura e di regia: senza neanche prendersi la briga di studiare (pur superficialmente) il territorio sociale in cui è stato organizzato il set, Corbijn e la troupe al suo seguito si sono prodotti in un’opera incapace di elevare la relazione tra i personaggi alla semplice meccanica della causa/effetto. Il dramma vissuto da Clooney è puramente artificioso, impossibile da ritenere anche minimamente credibile: allo stesso modo la rappresentazione dell’Italia centrale, non si distacca neanche un momento dagli abusati cliché sui paesotti nostrani, culla dell’omertà e del non detto, ricamati da dedali di strade in cui è inevitabile perdersi. A tutto questo si aggiunge una messa in scena per niente ispirata, che limita la potenza visiva del cineasta a un superfluo elenco di inquadrature di raccordo nelle quali si ricerca un lirismo del tutto fuori luogo. Senza soprassedere su alcune soluzioni narrative che lasciano davvero a bocca spalancata per lo stupore: si prendano il ridicolo incipit ambientato nelle nevi svedesi, o il fallimento dell’attentato durante la processione. Dimostrazioni palesi di un coma artistico difficile da prevedere, per lo meno in queste proporzioni.

A contribuire al pessimo risultato finale è poi un cast completamente inappropriato, a partire proprio da un Clooney bolso, svogliato e monocorde. Allo stesso modo fuori parte risultano i vari Paolo Bonacelli, Filippo Timi (al quale consigliamo di scegliere con maggior oculatezza le produzioni nelle quali farsi coinvolgere), e soprattutto una Violante Placido utilizzata come puro e semplice oggetto di scena, corpo da mostrare, spesso persino decapitato nelle inquadrature: esemplificativa sotto questo punto di vista la prima inquadratura che la vede protagonista.
Un’opera da dimenticare in fretta, e che speriamo non rovini in maniera irreparabile la carriera di un cineasta dal quale è impossibile non aspettarsi di meglio. Piuttosto viene naturale chiedersi come i produttori potessero sperare in un’apertura per la sessantasettesima edizione della Mostra di Venezia con un film così mediocre: un interrogativo che ci assilla e al quale non troviamo una soluzione razionale.

Info
Il trailer di The American.
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