Venezia 2010 – Orizzonti
La settima mostra diretta da Marco Müller compie un’operazione coraggiosa e inaudita, soprattutto per il paludato ambiente del Lido: Orizzonti diventa la sezione in cui far confluire formati, durate e ipotesi cinematografiche le più distanti tra loro, in una sfida aperta all’idea precostituita di festival.
“Fare testo”, “La vita come sceneggiatura”, “L’immagine disturba il reale”… no, non siamo ancora completamente impazziti: quelli che abbiamo appena citato sono infatti solo alcuni dei possibili itinerari che la direzione della 67. Mostra del Cinema di Venezia ha deciso di stilare per agevolare il movimento degli accreditati e del pubblico nell’apparente caos primigenio della sezione Orizzonti. Già, forse la più eclatante palingenesi partorita dalla mente creativa di Marco Müller – continuiamo a ritenere le edizioni della kermesse veneta sotto la sua egida come le migliori degli ultimi decenni – riguarda quest’anno proprio la sezione da molti sovente considerata come un vero e proprio “anti-concorso”.
Fin dalla sua nascita Orizzonti si è mosso in direzione di una ricerca continua e coerente delle nuove forme cinematografiche, figlie della contemporaneità: alcuni dei nomi meno allineati di questi tempi che fin troppo spesso appaiono dismessi, appiattiti su standard estetici prevedibili, nel corso del tempo hanno trovato asilo nella seconda sezione competitiva per importanza della Mostra. Autori come Lav Diaz o Woo Ming-jin, tanto per citare due nomi tra quelli maggiormente significativi, rappresentano in quest’ottica un fulgido esempio di quanto appena affermato. Con la volontà di spingere la propria stessa essenza fino alle estreme conseguenze, dal 2010 Orizzonti moltiplica all’infinito la propria offerta: tanto per iniziare da quest’anno i film inseriti nella sezione non andranno incontro ad alcuna selezione basata sul formato. Fluviali racconti e micrometraggi si troveranno gli uni accanto agli altri, fondendosi in uno sposalizio che a prima vista potrà anche sembrare forzato o grottesco, ma che in realtà non può che consolidare l’idea di un cinema contemporaneo che, per la sua stessa evoluzione tecnica, deve adattarsi a non ragionare più mettendo in contrapposizione durate, stili, standard di ripresa, generi di appartenenza.
E così il nuovo attesissimo lungometraggio di Hong Sang-soo, Oki’s Movie (scelto come film di chiusura della sezione), camminerà a fianco a The Nine Muses di John Akomfrah, documentario che trae origine nientemeno che dal mito omerico di Odisseo – o Ulisse che dir si voglia –; Noël Burch, tra i massimi teorici della settima arte, andrà a braccetto con José Luis Guerin, cineasta spagnolo di quando in quando invitato anche ai padiglioni espositivi della Biennale; i fratelli Kim, alfieri del cinema indipendente coreano pensato in digitale, si confronteranno con fieri sperimentalisti di altre epoche, come Paul Morrissey; le nuove opere sula lunga distanza di autori affermati come Sion Sono, Gianfranco Rosi (che al Lido portò l’ottimo Below Sea Level) e Catherine Breillat dovranno vedersela con i cortometraggi di colleghi del calibro di Vincent Gallo, Rustam Khamdanov, Clara Law, Laila Pakalnina e Manoel de Oliveira. Tutto questo senza dimenticare il Fuori Concorso, dove si agiteranno tra gli altri gli animi inquieti di Ken Jacobs, Douglas Gordon e Isaac Juline.
Insomma, un vero e proprio bailamme culturale, in cui lo spettatore poco avvezzo o distratto potrebbe realmente correre il rischio di perdersi: da qui dunque l’esigenza di creare quella serie di percorsi cui si accennava nell’incipit dell’articolo. Perché l’indagine delle nuove forme artistiche non può assolutamente prescindere da uno studio e da una conoscenza reciproche, ed è anche per questo motivo che la Mostra ha deciso di creare un vero e proprio “Club Orizzonti”, spazio fisico in cui gli autori, gli accreditati e il pubblico avranno modo di muoversi, dialogare, conoscersi, comprendersi e ispirarsi a vicenda. Un’occasione imperdibile di incontro e scoperta, il modo migliore per rendere ancora più organica una sezione monstre, che ha fagocitato l’oramai obsoleto Corto Cortissimo e si lancia in una sfida raramente vista in un’occasione così rilevante da un punto di vista mediatico. Perché sarà davvero interessare cercare di comprendere come reagiranno gli addetti ai lavori e il pubblico a questa novità: il rischio, così almeno sembra a prima vista, è che in molti cercheranno ancora una volta di creare un vacuo dualismo tra Orizzonti e il resto del programma della Mostra. Un errore colossale, che non renderebbe giustizia a un’operazione al contrario così straordinariamente organica da arricchirsi continuamente nella sua babelica diversità. Se la domanda è ancora “dove sta andando il cinema?”, l’impressione è che la settima Mostra targata Müller l’abbia capito in netto anticipo. Mai come stavolta sembra opportuno augurare a tutti buona visione.