Legend of the Fist: The Return of Chen Zhen

Legend of the Fist: The Return of Chen Zhen

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Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, Legend of the Fist esalta l’unione del popolo attraverso il sacrificio del singolo e lancia senza troppi pudori il più che prevedibile sequel. Cala vistosamente dopo una trentina di minuti, arranca tra un combattimento e l’altro e ricorre a una martellante colonna sonora che non può certo fare miracoli. Restano i movimenti di macchina di Andrew Lau, i leggendari pugni di Donnie Yen, la sempre apprezzabile presenza di Anthony Wong e la perfezione estetica di Qi Shu. Per fan delle arti marziali.

Non passa lo straniero

Negli anni Venti, all’epoca dei Signori della Guerra, mentre la Cina è messa a soqquadro dalle consorterie militari, tutti gli occhi sono puntati su Shanghai, Cucina dell’Inferno e Porta del Cielo insieme. Uno tra i più leggendari eroi della città è Chen Zhen, che ha vendicato la morte del suo maestro uccidendo da solo tutti i giapponesi di un dojo a Hong Kong prima di essere crivellato mentre sferrava il suo leggendario calcio volante. Da quel giorno sparisce dalla circolazione ed è dato per morto, anche se il suo cadavere non viene mai ritrovato… [sinossi]

Prima delle strabilianti performance atletiche dell’attore e coreografo Donnie Yen, della raffinata bellezza Qi Shu, della maestosità dei set, dell’utilizzo della computer grafica, dei costumi e delle belle musiche, del ricorso al solito parkour, dei confronti inevitabili con Bruce Lee (e Jet Li), del mito di Chen Zhen, del letale nunchaku e tutto quel che segue, del deludente Legend of the Fist: The Return of Chen Zhen, spettacolare nelle sequenze d’azione ma imbrigliato in una sceneggiatura scontata e poco ispirata, ci interessa soprattutto una certa piega produttiva presa dall’industria cinematografica hongkonghese, oramai legata mani e piedi, economicamente e politicamente, alla Cina [1].

Il film di Andrew Lau, regista e direttore della fotografia tecnicamente pregevole (la trilogia di Infernal Affairs, realizzata tra il 2002 e il 2003, resta un venerabile totem), eleva a pirotecnico spettacolo la propaganda, sulla scia dei precedenti Ip Man e Ip Man 2, Bodyguards and Assassins e via discorrendo. Le gesta degli eroici compatrioti, applaudite sul grande schermo, sono da sempre un toccasana per lo spirito nazionale: il pubblico si diverte, i petti si gonfiano d’orgoglio e vincere in qualsiasi campo sembra più facile. Dal punto di vista strettamente cinematografico, ci preoccupa la mancanza di fantasia, lo stanco ripetersi di uno schema che sembra logoro già al secondo film, soprattutto quando l’amor di patria fagocita l’amore per la Settima Arte. Legend of the Fist in fin dei conti palesa gli stessi limiti di Ip Man 2, che del primo capitolo conservava più i difetti che i pregi: la retorica divampa, enfatizzata da nemici ai limiti della caricatura (più che i crudeli giapponesi, si vedano i patetici ritratti degli occupanti inglesi) e da situazioni forzate – su tutte, l’ultima sequenza all’interno della stazione di polizia, con tanto di riscatto del sottoposto cinese nei confronti dell’allampanato e corrotto ufficiale anglosassone. E se il nemico crudele è rappresentato dal colonnello nipponico, avversario temibile che conosce l’onore, peggior sorte viene riservata alla fastidiosa presenza europea, costantemente ricollegata alla corruzione e alla codardia. A ognuno il suo.

Tutto da buttare? Fortunatamente, no. Legend of the Fist: The Return of Chen Zhen ci mostra ancora una volta l’elevato livello tecnico e produttivo del cinema di Hong Kong, soprattutto nell’epico incipit in cui Lau, passando dalle immagini di repertorio in bianco e nero al rosso fuoco delle esplosioni, lascia lo spettatore senza fiato, tra i proiettili fischianti e le acrobazie a tutta velocità di Donnie Yen. La star hongkonghese (Ip Man, Hero, Bodyguards and Assassins, Blade II e molto altro), a suo agio nella luccicante vita notturna di Shanghai, è un attore nonché artista marziale e regista da seguire con attenzione. A parte le apprezzabili qualità recitative e la capacità di orchestrare complesse scene d’azione, Yen impressiona per la velocità fuori dal comune. Difficile pensare di poterci discutere.

Legend of the Fist esalta l’unione del popolo attraverso il sacrificio del singolo e lancia senza troppi pudori il più che prevedibile sequel. Cala vistosamente dopo una trentina di minuti, arranca tra un combattimento e l’altro e ricorre a una martellante colonna sonora che non può certo fare miracoli. Restano i movimenti di macchina di Andrew Lau, i leggendari pugni di Donnie Yen, la sempre apprezzabile presenza di Anthony Wong e la perfezione estetica di Qi Shu. Per fan delle arti marziali.

Note
1. Il parkour è una disciplina sportiva metropolitana nata in Francia agli inizi degli anni Ottanta. Deriva dal parcours du combattant, il percorso di guerra utilizzato nell’addestramento militare ideato da Georges Hébert. Il nunchaku (shuang jié gùn) è un’arma tradizionale orientale, resa celebre in Occidente da Bruce Lee, costituita da due corti bastoni uniti con una breve catena o corda.
Info
Il trailer originale di Legend of the Fist: The Return of Chen Zhen.
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