Berlinale 2011 – Presentazione
Berlinale 2011 è la sessantunesima edizione del festival tedesco, che conferma il suo ruolo di primaria importanza all’interno del panorama europeo proponendo una struttura oramai consolidata, con il concorso “accompagnato” dalle sezioni autonome e collaterali, Panorama e Forum, per uno sguardo a trecentosessanta gradi sul cinema contemporaneo.
In un mondo del cinema sempre più caotico, frenetico e dispersivo, con i grandi festival che si rincorrono l’un l’altro cercando disperatamente di strapparsi anteprime mondiali e star da esporre in bella vista, fa uno strano effetto approcciarsi alla Berlinale 2011. La più importante kermesse cinematografica tedesca, nonché una delle principali d’Europa insieme a Cannes e Venezia – e con Rotterdam sulla definitiva rampa di lancio – rinnova il suo appuntamento mostrando al pubblico un volto oramai conosciuto fin nei minimi particolari. Trovato il suo assetto più naturale, con il concorso ufficiale attorniato da un lato dall’autorialità consolidata di Panorama e dall’altro dal magmatico calderone di Forum, in cui convergono le opere meno allineate e più destabilizzanti – e, sovente, i veri e propri colpi di fulmine – il festival non sembra al momento avere molta voglia di cambiare né di sperimentare nuovi percorsi. A puntellare qua e là il programma, a parte alcuni eventi speciali fuori concorso, tra cui un doveroso omaggio a Mario Monicelli (la proiezione de Il marchese del Grillo) e l’opera seconda di Gianni Di Gregorio, Gianni e le donne, le retrospettive e l’abituale appuntamento con Generation, sezione dedicata ai film su/per/con bambini e adolescenti.
Inutile star a sottolineare come uno dei pezzi da novanta dell’intero palinsesto sia rappresentato proprio dal film di apertura, Il Grinta di Joel ed Ethan Coen, versione riveduta e corretta del non indimenticabile classico di Henry Hathaway con John Wayne: per il resto, il programma del concorso è arricchito da The Turin Horse di Béla Tarr, a tre anni di distanza dall’ammaliante A Londoni férfi; dal mondo di silhouette stereoscopiche de Les Contes de la nuit, diretto da Michel Ocelot; da Come Rain, Come Shine, nuovo capitolo sulla riflessione sui rapporti interpersonali per Lee Yoon-ki dopo l’ottimo My Dear Enemy (2008). Nel frattempo nel fuori concorso, oltre ai fratelli Coen, si agitano le immagini tridimensionali di due maestri del cinema tedesco come Werner Herzog (Cave of Forgotten Dreams) e Wim Wenders (Pina, dedicato a Pina Bausch). A prima vista viene naturale chiedersi perché titoli come Amador di Fernando León De Aranoa, Life in a Day di Kevin MacDonald e Mothers di Milcho Manchevski non siano riusciti a trovare una collocazione tra i concorrenti all’Orso d’Oro: ma è sempre stata questa la forza di una sezione come Panorama, davvero in grado di segnalarsi come lo specchio riflesso del concorso, il suo negativo fotografico. A dimostrarlo ulteriormente ci pensano altre scelte lungimiranti, come Vampire, con uno Shunji Iwai in trasferta nordamericana, Tomboy di Céline Sciamma (già autrice del bel ritratto adolescenziale di Naissance des pieuvres), Together di Zhao Liang, Dance Town, capitolo conclusivo della “trilogia della città” di Jeon Kyu-hwan, e The Unjust, il nuovo film di quel Ryu Seung-wan già autore di interessanti progetti cinematografici come Arahan, Crying Fist, e The City of Violence.
Christian Petzold (Yella, Jerichow) con Beats Being Dead si propone come alfiere della Germania in Forum, come da tradizione sezione destinata a segnalarsi crocevia di intenti, idee e fucina di nuovi talenti. Molti, anche qui, gli autori orientali selezionati, con gli occhi puntati sul fluviale Heaven’s Story di Takahisa Zeze e sulla retrospettiva dedicata al cinema di Minoru Shibuya, regista nipponico morto nel 1980. Da non sottovalutare le potenzialità di Self Referential Traverse: Zeitgeist and Engagement del sudcoreano Kim Sun, per l’occasione in uscita solitaria senza il fratello Kim Gok, e del thailandese (ma coprodotto in Germania) The Terrorists di Thunska Pansittivorakul. A fungere da ideale padrino della ricca sezione il grande sperimentalista statunitense Jonas Mekas, che torna ancora una volta a ragionare su New York e sull’arte sotterranea che viene prodotta nella Grande Mela in Sleepless Night Stories. Insomma, per il pubblico e gli accreditati sta per prendere il via una dieci giorni di incontri cinematografici affascinanti, insoliti, classici e sorprendenti allo stesso tempo, incastonati nella splendida cornice di una delle metropoli europee più moderne e funzionanti. Con la speranza che il gelido inverno tedesco non ci metta lo zampino…