Una separazione

Una separazione

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Dalle sequenze iniziale e finali di Una separazione si capisce molto del cinema di Asghar Farhadi: due piani fissi, in cui la composizione dell’inquadratura e il gioco degli sguardi scavano nelle psicologie dei personaggi. La forza di Farhadi è nel punto di osservazione, nella qualità della scrittura, nel peso specifico delle parole e del sottaciuto. E nei dettagli: la gioiosa corsa per le scale di Nader e Termeh, il fuori campo finale della stessa Termeh, il pianto di Nader sulla spalla dell’anziano e malandato padre. Oscar come miglior film straniero, Orso d’Oro per Farhadi e Orso d’Argento per tutto il cast alla Berlinale 2011: Una separazione è uno dei film più premiati e celebrati degli ultimi anni.

La forza delle parole

Nader e Simin hanno ottenuto il visto per lasciare l’Iran ma Nader si rifiuta di partire e abbandonare il padre affetto da Alzheimer. Simin intende chiedere il divorzio per partire lo stesso con la figlia Termeh e, nel frattempo, torna a vivere da sua madre. Nader deve assumere una giovane donna, Razieh, che possa prendersi cura del padre mentre lui lavora, ma non sa che la donna, molto religiosa, non solo è incinta ma sta anche lavorando senza il permesso del marito. Ben presto Nader si troverà coinvolto in una rete di bugie, manipolazioni e confronti, mentre la sua separazione va avanti e sua figlia deve scegliere da che parte stare e quale futuro avere… [sinossi]
Il mondo di un regista è segnato dall’interazione tra realtà e sogno.
Il regista usa la realtà come ispirazione,
dipinge con il colore della sua immaginazione
e crea film che sono una proiezione delle sue speranze
e dei suoi sogni.
Lettera aperta al Festival di Berlino – Jafar Panahi

La sessantunesima edizione della Berlinale ha probabilmente già trovato il suo Orso d’Oro. Una separazione del regista iraniano Asghar Farhadi, che tanti consensi aveva già raccolto coi precedenti lungometraggi [1], sembra avere un solo rivale sul piano squisitamente artistico, l’imponente The Turin Horse di Béla Tarr, ma ha altre frecce al proprio arco: oltre a essere un’opera più facilmente assimilabile, meno estrema del monumentale e fluviale lungometraggio in bianco e nero del grande cineasta ungherese, può contare sull’attuale contesto politico internazionale, sulle costanti tensioni e polemiche che minano il potere di Mahmud Ahmadinejad e, soprattutto, sull’onda emotiva del caso Jafar Panahi [2]. Vedremo cosa deciderà la giuria.

Una separazione è un film di scrittura, ancorato alla realtà, alla quotidianità del popolo iraniano, alle questioni religiose, al concetto di verità e menzogna: il primissimo pregio di Farhadi, ovviamente anche sceneggiatore dei suoi film (e non solo), è di saper controllare e plasmare tutto questo materiale, di non eccedere mai, di non smarrirsi nel labirinto narrativo, di saper mettere in scena con piglio modernamente neorealista i volti, le parole e i sentimenti dei suoi personaggi, della gente comune. Il cinema di Farhadi è stratificato eppure immediato: il divorzio tra Nader (Peyman Moaadi) e Simin (Leila Hatami), i turbamenti della giovane Termeh (Sarina Farhadi), l’instabilità del litigioso Hodjat (Shahab Hosseini), l’osservanza ai dettami religiosi di Razieh (Sareh Bayat) e i due processi si intrecciano, alternano, sovrappongono senza confusione, con misurato realismo. Sostenuto da un gruppo di solidi e talentuosi interpreti, Farhadi riesce a concedere il giusto spazio a ogni personaggio, penetrando nella psicologia e nei meccanismi mentali delle due coppie e di Termeh: nel suo lavoro di rappresentazione della realtà, il regista iraniano si affida principalmente alla penna e alla direzione degli attori, ma mette in mostra anche alcune soluzioni registiche pregevoli, come la lunga inquadratura finale che accompagna i titoli di coda.

Dalle sequenze iniziale e finali di Una separazione si capisce molto del cinema di Asghar Farhadi: due piani fissi, in cui la composizione dell’inquadratura e il gioco degli sguardi scavano nelle psicologie dei personaggi. Nella sequenza iniziale, in una sorta di soggettiva del giudice, Nader e Simir si scontrano sul divorzio, in un muro contro muro intriso di parole, di mancate concessioni, di sterili cocciutaggini: seppur vicini, marito e moglie sembrano lontanissimi. Nel quadro conclusivo, privo di parole, la distanza tra i personaggi è aumentata, in una costruzione geometricamente perfetta, emotivamente coinvolgente, quasi straziante: si sentono le grida di un litigio, dal fondo del corridoio, mentre a Nader e Simin non rimangono che gli sguardi, testardamente negati e vanamente cercati. Farhadi racconta la distruzione, a tratti lenta e a tratti improvvisa, dei rapporti umani. L’atto conclusivo del logorato rapporto tra Nader e Simin e il coinvolgimento silenzioso della figlia, costretta a una scelta crudele, si legano al conflitto con l’altra coppia, Hodjat e Razieh: le difficoltà e gli errori dei singoli andranno a sommarsi, ingigantendosi, svelando colpe, menzogne, rivelando debolezze.

Sulla menzogna (o, meglio, sulla verità), con annessi e connessi religiosi, Farhadi costruisce una moderna operetta morale, indagando sulle motivazioni dei gesti e sulle inevitabili conseguenze: mai al di sopra dei propri personaggi, lontano da qualsiasi giudizio, il cineasta iraniano riesce a mettere in scena con spiazzante lucidità e profondità storie già viste e raccontate. Ma la forza di Farhadi è nel punto di osservazione, nella qualità della scrittura, nel peso specifico delle parole, degli sguardi, del sottaciuto. E nei dettagli: la gioiosa corsa per le scale di Nader e Termeh, il fuori campo finale della stessa Termeh, il pianto di Nader sulla spalla dell’anziano e malandato padre…

Note
1. Alla quarta regia, Farhadi ha raggiunto la notorietà a livello internazionale con About Elly (2009), premiato con un Orso d’Argento proprio alla Berlinale, oltre a vari riconoscimenti al Tribeca Film Festival, Kerala International Film Festiva, Fajr Film Festival, Brisbane International Film Festival, Asia-Pacific Film Festival e Asia Pacific Screen Awards.
2. Panahi sta scontando una condanna in carcere di sei anni, oltre al divieto di realizzare film, viaggiare e rilasciare interviste per venti anni. La Berlinale 2011 ha dedicato un omaggio proprio a Panahi, provocatoriamente invitato a far parte della giuria.
Info
Il trailer italiano di Una separazione.
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