La faida

La faida

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Joshua Marston firma con La faida un dramma solido, teso e doloroso, riuscendo a trovare un equilibrio produttivo tra realtà tra loro molto differenti (c’è anche l’italiana Fandango di Domenico Procacci). In concorso alla Berlinale 2011.

Fight da Faida

Nik, un ragazzo di diciassette anni, frequenta l’ultimo anno di liceo in una cittadina nel nord dell’Albania. È un ragazzo dinamico, e il suo obbiettivo dopo il diploma è quello di riuscire ad aprire un internet point. A parte questo, pasa il suo tempo a corteggiare una sua compagna di scuola. La sorella di Nik, la quindicenne Rudina, ha a sua volta le idee molto chiare riguardo all’avvenire: vorrebbe andare all’università per proseguire nel suo percorso di studi. La vita dei due adolescenti, e quella della loro famiglia, è sconvolta da una faida che porta il padre dei ragazzi a uccidere un uomo. Nik e Rudina si ritrovano dunque invischiati in una storia di vendetta. Il rigido regolamento del Kanun, una secolare legge tradizionale albanese, impedisce a tutti i membri maschili della famiglia, compreso il piccolo Bora di appena sette anni, di uscire di casa… [sinossi]

Può apparire non poco bizzarro che una terra come quella albanese, ricca di storia (travagliata) e presenza centrale nel complesso schema della penisola balcanica, abbia sempre trovato ben poco spazio nell’immaginario cinematografico: poca e spesso invisibile la produzione interna, misero anche l’interesse dimostrato nei suoi confronti dal resto del mondo. Non è dunque un caso che, per dare compimento a The Forgiveness of Blood (il titolo italiano è La faida), presentato in concorso alla sessantunesima edizione della Berlinale, sia stata messa in moto un’ampia coproduzione internazionale: lo stesso destino è difatti toccato alle altre opere dedicate ai “figli di Skanderberg” [1] presenti al festival, Amnesty di Bujar Alimani e The Albanian di Johannes Naber.

La produzione de La faida, cupa vicenda di faide familiari, ha messo insieme soldi e maestranze italiane (grazie alla Fandango di Domenico Procacci), statunitensi, albanesi e danesi: il progetto nasce dalla volontà di Joshua Marston di tornare a occuparsi di una regia cinematografica a sette anni di distanza dal successo di critica di Maria Full of Grace [2]. Per l’occasione coadiuvato in fase di sceneggiatura da Andamion Murataj, Marston si immerge dunque in una realtà ben lontana dalla sua, andando a scavare nelle secolari tradizioni albanesi con l’intento di descrivere un mondo in bilico tra arcaismo e rivoluzione della modernità. Per riuscire nell’intento incolla letteralmente la macchina da presa ai due veri protagonisti della pellicola, i giovani fratelli Nik e Rudina: la loro prigionia – assoluta per Nik e relativa per Rudina, che può comunque uscire di casa solo per andare a vendere il pane di porta in porta – è il simbolo di un immobilismo culturale che non guarda in faccia a nessuno, ancor meno alle giovani generazioni. Grazie anche all’efficace interpretazione degli sconosciuti Tristan Halilaj e Sindi Laçej – e chissà se qualcuno avrà la lungimiranza e il coraggio di credere nei loro volti, regalandogli l’opportunità di cimentarsi ancora con la recitazione –, che riescono a rendere credibile e partecipato il loro sbigottito spaesamento, indecisi tra il perseguimento dei propri sogni e l’assoluta fedeltà al codice familiare, La faida si segnala come una delle (poche) sorprese positive del concorso di Berlino: utilizzando uno stile scarno ed essenziale, che non fa quasi mai ricorso agli elementi climatici ma allo stesso tempo evita con accuratezza le secche dell’onanismo intellettuale e dell’autocompiacimento, Joshua Marston conferma di possedere una sensibilità non indifferente nell’affrontare e mettere in scena la dimensione psicologica nella quale vivono gli adolescenti.

Anche Nik, come la protagonista di Maria Full of Grace, è costretto suo malgrado ad aprire gli occhi sulle zone oscure della propria comunità di appartenenza, svelandone le contraddizioni. Sempre come Maria, anche Nik si trova di fronte a una scelta quintessenziale, dalla quale potrebbe dipendere il senso della propria stessa vita. Il film di Marston segue un percorso narrativo forse persino prevedibile, ma riesce a cogliere i tratti essenziali di un romanzo di formazione anomalo, giocando su una situazione estrema come quella del Kanun, legge che obbliga di fatto tutti i membri maschili di una famiglia a rimanere reclusi nella propria stessa casa. Probabilmente destinato a non lasciare troppa traccia di sé nei canali distributivi del 2011, La faida è un dramma solido, teso e doloroso, che meriterebbe un’attenzione ben maggiore di quella che quasi certamente gli verrà concessa.

NOTE
1. Gjergj Kastrioti Skënderbeu, ribattezzato in Italia Giorgio Castriota Skanderberg (o Scanderberg), è tutt’ora riconosciuto come il principale eroe albanese: guidando le sue truppe contro l’invasore ottomano, riuscì a mantenere salda l’indipendenza della nazione per ben venticinque anni, tra il 1443 e il 1468. Alla sua morte per malaria le popolazioni della Shqipëri furono costrette all’esilio: molti albanesi approdarono in Italia, fondando le numerose comunità Arbëreshë che in massima parte esistono ancora oggi. A Skanderberg è dedicato un monumento equestre a Roma, in piazza Albania, nei pressi della Piramide Cestia.
2. Tra i due lungometraggi il quarantaduenne cineasta nativo di Los Angeles ha prestato il suo mestiere al florido universo dei serial statunitensi, dirigendo episodi di Six Feet Under, Swingtown, Law & Order e In Treatment.
Info
La faida sul sito della berlinale.

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