Under the Hawthorn Tree

Under the Hawthorn Tree

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Under the Hawthorn Tree, melodramma d’amore sullo sfondo della Rivoluzione Culturale, conferma Zhang Yimou come megafono ufficiale della Repubblica Popolare Cinese; ne viene fuori una bucolica e sbiadita cartolina. Al Far East di Udine 2011.

C’era un cinese in coma

Cina, Rivoluzione Culturale, primi anni Settanta. Nel villaggio di Xiping sulle sponde del fiume Azzurro un albero di biancospino viene venerato in ricordo dei patrioti cinesi che durante la guerra di resistenza contro il Giappone furono impiccati ai suoi rami dalle truppe degli invasori. Un gruppo di studenti liceali arriva dalla città per essere “rieducati” dai contadini a seguito della direttiva di Mao di “costruire le classi nei campi”. La giovane Jinqiu, il cui padre langue in prigione e la cui madre, pur malata, è costretta a lavorare come inserviente nella scuola in cui originariamente insegnava perché accusata di essere di destra, viene alloggiata nella casa del capo villaggio. Qui conosce Jianxin, giovane geologo figlio di un militare di alto rango ed orfano di madre, morta suicida a seguito della persecuzione politica. L’immediata attrazione tra i due si trasforma rapidamente in una intensa ma impossibile storia d’amore… [sinossi]

Con Under the Hawthorn Tree, succosa, almeno sulla carta, anteprima nazionale del Far Est Film Festival 13, il pluripremiato Zhang Yimou conferma il suo status di regista “di regime” della PRC, completamente devoto alla causa nazionale e alla sua celebrazione. Encefalogramma piatto sotto l’albero del biancospino (l’hawthorn tree del titolo) dunque per il regista premio Oscar per Lanterne rosse, che qui ci propina una sfilza di motti inneggianti alla Cina di Mao che sgorgano con assai poca naturalezza dalle labbra di personaggi bidimensionali utili solo a glorificare il mito del maoismo, senza se e senza ma. Girato con un digitale algido e agiografico, Under the Hawthorn Tree narra la storia d’amore tra Jing (Zhou Dongyu), ragazzina inviata a rieducarsi in campagna per via di un padre destrorso, e il geologo Sun (Shawn Dou), ragazzo premuroso dal sorriso facile. Sun è pronto a tutto per l’amata, nel corso del film le dona preziose cibarie per la madre malata, le compra una divisa da pallavolo, degli stivali di gomma da lavoro, giura di aspettarla anche per tutta la vita, le cambia le lampadine e le offre innumerevoli volte la giacca. Con la medesima premura, Yimou ci informa fin da subito che nell’ameno villaggio in cui i due si incontrano, ha le radici un albero di biancospino presso cui un manipolo di eroici combattenti ha trovato la morte. La narrazione, assai essenziale, procede predicando la bontà degli ideali maoisti, l’onestà mai doma del popolo cinese, la giustezza della pena per chi non aderisce in pieno a giuste regole sociali. Senza mostrare mai alcun tipo di conflitto reale tra i personaggi, i loro sogni e il maoismo, Zhang Yimou preferisce fare del suo film una bucolica e scolorita cartolina illustrata. Ci sono i bambini graziosi che strappano qualche risata allo spettatore, gli anziani contadini ospitali, la madre dura ma in fondo anche comprensiva, le cattive ragazze lussuriose che restano incinte e poi c’è la madre di Sun, donna capitalista e vanesia morta suicida con l’abito della domenica e il make up appena fatto: insomma, come sostiene il figlio, forse per lei è stato meglio così.

L’idillio pudico tra i due protagonisti è anch’esso nel raggio poetico di Zhang, che mette in scena una seduzione improntata alle regole della buona educazione e una scena di tensione erotica che manderà in brodo di giuggiole i bacchettoni di ogni latitudine. Viene da domandarsi a quale fascia di pubblico si rivolga Zhang Yimou, forse alle persone un po’ all’antica sparse nel globo, oppure al regime nazionale che lo foraggia (ricordiamo che sua è stata la regia della cerimonia d’apertura delle ultime Olimpiadi), o forse il suo vuole essere un monito contro la Cina contemporanea affinché ridimensioni la sua apertura al capitalismo per riabbracciare gli antichi ideali. Di certo l’aulica storia d’amore è un grimaldello usato per ri-educare un pubblico sensibile e facile alla lacrima. Come in un romanzo didattico per fanciulle in età da marito, le piccole e innocue trasgressioni della nostra Jin verranno infatti duramente punite.
Operazione vintage priva di contatti con la realtà, Under the Hawthorn Tree ha lo stesso afflato punitivo di un women melodrama americano degli anni ’50. Il suo status anacronistico è palese, al punto che vengono alla mente paragoni arditi: forse il regista  voleva fare un’operazione tarantiniana alla Grindhouse creando ex-novo una pellicola d’epoca mai esistita. Ma se c’era dell’ironia in questa operazione, noi non l’abbiamo colta.

Info
Under the Hawthorn Tree sul sito della Berlinale.

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