The Piano in a Factory

The Piano in a Factory

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Dramedy operaia che aggiorna la lezione del nostro cinema post-neorealista: The Piano in a Factory di Zhang Meng, presentato al Far East Film Festival 2011.

Musica per vecchi operai

Chen Guilin è un uomo di mezza età che lavora in una delle poche fabbriche di acciaio ancora attive in città. Insieme a degli amici suona la fisarmonica in una band musicale locale e la sua ambizione è che la figlia erediti la sua passione per la musica. Quando la moglie, che l’ha lasciato da tempo, ritorna per chiedere il divorzio e l’affidamento della bambina, Chen cerca di fare tutto il possibile per regalare alla piccola un vero pianoforte… [sinossi]

La cinematografia cinese è viva e scalciante e sarebbe un grave errore ridurla al cinema stantio e prono di Zhang Yimou, unico autore che trova ancora una distribuzione nelle sale nostrane. Presentato in anteprima al Far East Film Festival, The Piano in a Factory di Zhang Meng è un fulgido esempio di come si possa raccontare lo spirito nazionale in maniera stratificata e approfondita, senza eccedere in quegli intenti meramente celebrativi che caratterizzano le ultime produzioni di Zhang Yimou, Under the Hawthorn Tree su tutti. Ambientato nel nord-est della Cina a metà degli anni Ottanta, The Piano in a Factory è la storia di Cheng (Wang Quian-yuan), operaio in una acciaieria alle prese con l’imminente divorzio dalla moglie, che sta per accasarsi con un uomo più facoltoso di lui. Per ottenere la custodia della figlia, talentuosa pianista in erba, Cheng è pronto a tutto, anche a costruirle artigianalmente un pianoforte. Partendo da una assunto semplice ed essenziale, che ci riporta alla mente episodi del Neorealismo nostrano, ma anche quella spassosa satira post-neorealista rintracciabile in Prima Comunione di Blasetti, dove Aldo Fabrizi si faceva in quattro per comprare alla figlia l’abito per la cerimonia, il film di Zhang Meng intesse un affresco collettivo vibrante e divertente.

Al centro della scena troviamo un vero e proprio mattatore, l’attore Wang Quian-yuan, capace di passare agilmente e con fare sornione dai toni drammatici a quelli comici e di conquistarci definitivamente con le sue doti musicali e canore. Quando infatti imbraccia la sua fisarmonica, il nostro Cheng si rivela un musicista provetto,  in grado di mescolare sonorità cinesi e sovietiche, inni comunisti e canzoni dedicate al fiume Volga. Mentre infatti la Cina affronta importanti cambiamenti, si veda qui la dismissione delle fabbriche e la simbolica demolizione delle ciminiere, salutate con nostalgia, in quanto parte integrante del paesaggio, anche l’Unione Sovietica si avvia verso la sua dissoluzione. Con un misto di ironia giocosa e malinconia, The Piano in a Factory cala i suoi personaggi, ovvero Cheng e la sua squadra di amici-aiutanti, in un contesto sociale che sta gradualmente perdendo i suoi punti di riferimento, come ben illustra anche la divertente sequenza del karaoke, dove il gruppo si cimenta con un inno a Mao e Lenin, tra il serio e il faceto.

Figura stilistica ricorrente nel film è il carrello laterale, che scivola sui personaggi per coglierli quasi di sorpresa, salvo poi abbandonarli al loro destino, giocando abilmente una dialettica tra campo e fuori campo. A tenere insieme il dramma sociale, la commedia romantica e i gustosi intermezzi musicali, è una pervasiva e irresistibile comicità surreale, emula del cinema di Aki Kaurismäki, elemento che rende The Piano in a Factory un prodotto ad alto tasso di esportabilità, anche dalle nostre parti. Speriamo che qualche distributore avveduto se ne accorga.

Info
Il trailer di The Piano in a Factory.
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