Mindfulness and Murder

Mindfulness and Murder

di

Convincente soprattutto nelle scelte di regia e nell’interpretazione dei suoi protagonisti, Mindfulness and Murder del giovane Tom Waller. è un film risolto a metà, quasi timoroso di osare fino in fondo tutte le carte a sua disposizione.

L’abbazia del mistero [1]

In un monastero buddista, vicino a Bangkok, viene ritrovato ucciso un ragazzo, con il corpo infilato in un otre. La polizia archivia il caso senza prestargli troppo interesse, ma un ex investigatore che da tempo ha scelto la vita monacense decide di indagare per conto proprio all’interno del monastero… [sinossi]

Durante la presentazione sul palco del Teatro Nuovo Giovanni da Udine, nel bel mezzo della tredicesima edizione del Far East Film Festival, Sabrina Baracetti ha accolto Mindfulness and Murder, l’opera prima di Tom Waller, giovane regista metà irlandese metà thailandese, proponendo un paragone diretto con Il nome della rosa, capolavoro letterario di Umberto Eco che divenne film nel 1986 nell’economicamente rimarchevole adattamento di Jean-Jacques Annaud. Un accostamento che potrebbe sembrare a prima vista pretestuoso, ma che in realtà a ben vedere nasconde radici ben profonde: e non solo per l’idea di trascinare una storia di omicidi nella rarefatta calma di un monastero, anzi. Quel che lega Mindfulness and Murder a Il nome della rosa è semmai la volontà di scavare nel tessuto umano a disposizione, utilizzando l’esca della detection come escamotage narrativo in grado di giustificare una riflessione filosofica tutt’altro che banale sul concetto stesso di bene e male. C’è da dire che se questo punto risultava perfettamente riuscito nel romanzo di Eco, con gli elementi dell’intrigo e gli spunti teorici e saggistici pronti a camminare fianco a fianco senza pestarsi i piedi, Tom Waller non sempre riesce a gestire il materiale a disposizione, perdendo per strada parte delle potenzialità della pellicola.

Risulta infatti fin troppo presto chiaro come della morte del giovane drogato – il cui cadavere è ritrovato in una posizione che ricorda da vicino proprio una delle morti dell’opera somma di Eco – a Waller interessi solo relativamente, intenzionato com’è a spostare l’obiettivo della macchina da presa su Ananda, il monaco ex-poliziotto che non accetta la versione delle forze dell’ordine e porta avanti un’indagine destinata a scoperchiare come da copione il più classico dei nidi di vespe. L’investigazione in sé e per sé avanza dunque in maniera discontinua, senza picchi di tensione degni di questo nome e con una gestione dei tempi cinematografici forse poco adatta alla bisogna. Ciò che colpisce, d’altro canto, è proprio la misurata messa in scena di un universo, come quello dei monaci buddisti, che troppe volte viene dato per scontato nel cinema thailandese: considerando anche i problemi cui sono andate incontro varie pellicole nel portare sullo schermo gli aspetti più ordinari dell’universo ecclesiastico buddista – si veda la censura subita in patria da una delle sequenze più memorabili di Syndromes and a Century di Apichatpong Weerasethakul, quella del monaco che suona la chitarra elettrica per strada – bisogna ammettere che il giovane e talentuoso Waller ha dimostrato non poco coraggio. Portare l’omosessualità e l’omicidio all’interno dei kuti in cui si dovrebbero ritirare in silenzio e devozione i monaci non è materia da sottovalutare né da trattare con troppa faciloneria: in questo senso una sequenza come quella dell’attacco del cobra riesce a coniugare le esigenze thrilling della narrazione con una metafora neanche troppo velata dell’ambiguità del sacro.

Convincente soprattutto nelle scelte di regia e nell’interpretazione dei suoi protagonisti, Mindfulness and Murder è un film risolto a metà, quasi timoroso di osare fino in fondo tutte le carte a sua disposizione, e indeciso a volte sul registro da utilizzare per rendere al meglio le timbriche della pellicola, come evidenziato nella figura del bambino che vede in Ananda il padre che non ha mai avuto. Delicato e rarefatto, Mindfulness and Murder è comunque un elegante esordio, apprezzabile e (almeno a tratti) coinvolgente, cui viene naturale guardare con simpatia e comprensione. Con la speranza che il giovane Waller sappia far maturare il proprio sguardo, ancora acerbo, sul mondo che lo circonda.

Note
1. Questo era il titolo di lavorazione del manoscritto di Umberto Eco che sarebbe poi diventato universalmente noto come Il nome della rosa.
Info
Una clip di Mindfulness and Murder.
  • mindfulness-and-murder-2011-tom-waller-06.jpg
  • mindfulness-and-murder-2011-tom-waller-05.jpg
  • mindfulness-and-murder-2011-tom-waller-04.jpg
  • mindfulness-and-murder-2011-tom-waller-03.jpg
  • mindfulness-and-murder-2011-tom-waller-02.jpg
  • mindfulness-and-murder-2011-tom-waller-01.jpg

Articoli correlati

  • Cannes 2015

    apichatpong-wheerasetakulIntervista ad Apichatpong Weerasethakul

    Ancora una volta sulla Croisette, ancora una volta con un capolavoro. Apichatpong Weerasethakul, con Cemetery of Splendour, racconta di un ospedale ricavato da una scuola, dove sono ricoverati dei soldati in uno stato di sonno perenne. Abbiamo incontrato il regista a Cannes.
  • AltreVisioni

    Syndromes and a Century

    di Il cinema di Apichatpong Weerasethakul si conferma tra le visioni irrinunciabili della contemporaneità. In concorso a Venezia nel 2006.

Leave a comment