Crazy Horse

Crazy Horse

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Rispetto al consueto, stavolta il nuovo lavoro di Frederick Wiseman – Crazy Horse, presentato a Venezia alle Giornate degli Autori – non appare troppo personale, e il maestro del cinema documentario si limita a una descrizione di superficie del mondo che ruota attorno al celebre club parigino.

In the Flesh?

Per dieci settimane Frederick Wiseman volge il suo obiettivo su uno dei luoghi mitici di Parigi, il Crazy Horse, un club-cabaret fondato nel 1951 da Alain Bernardin, considerato al pari della Torre Eiffel e del Louvre, un “must” per qualunque frequentatore della vita notturna parigina. Il documentario segue le prove e le repliche del nuovo spettacolo “Desir”, coreografato dal celebre Philippe Découflé, la preparazione delle ballerine nel backstage ma anche le difficoltà legate alla realizzazione dello spettacolo e all’amministrazione del locale… [sinossi – www.venice-days.com]

Silhouette di un uomo, figura nera contrapposta a un muro bianco: le ombre cinesi proiettate con le dita dall’uomo danno vita, sul muro, a una miriade di figure animali e non, pronte a rincorrersi le une con le altre. È con questa metafora dello spettacolo come essenza tangibile e immateriale allo stesso tempo che prende vita sullo schermo Crazy Horse, il ritorno dietro la macchina da presa del maestro del documentario Frederick Wiseman, ospitato per l’occasione nel cartellone delle Giornate degli Autori.
Nel lavorare a un progetto in fin dei conti poco personale – l’ideazione e la produzione sono opera degli stessi gestori del celeberrimo locale parigino che dà il titolo al film – Wiseman mette da parte alcuni dei tratti salienti della propria poetica espressiva, preferendo un approccio perfettamente funzionale alle esigenze del momento. Ciò equivale giocoforza a un approfondimento minore rispetto al passato: l’indagine antropologica e sociale che si nascondeva dietro l’estenuante lavoro di ricerca sul campo e di catalogazione dei vari Law and Order, Welfare, High School, Near Death, il dittico Domestic Violence/Domestic Violence 2 e State Legislature (per citare alcuni dei documentari giustamente celebrati del cineasta statunitense) lascia qui spazio a una pura e semplice ripresa del reale, cristallizzazione dei momenti di vita quotidiana che accompagnano gesti e azioni dello staff e delle ballerine del Crazy Horse. Le riprese dei vari sketch e degli spettacoli in cui queste ultime sono impegnate occupano la maggior parte del materiale che compone il montaggio definitivo del film: riprese che mirano al dettaglio più che alla visione d’insieme, in un’operazione a suo modo straniante, con le espressioni del viso delle splendide ragazze in grado di irradiare preoccupazione per i passi da non sbagliare piuttosto che gioia dell’interpretazione.

Si tratta però di uno dei rari casi di “insubordinazione autoriale” di Wiseman, per il resto piuttosto trattenuto nel dedicare spazio e visibilità all’universo che si nasconde dietro le forme procaci e affascinanti delle ballerine di fila del locale che in passato ha dato lustro a personalità quali Arielle Dombasle, Lova Moor e Dita Von Teese: se manca probabilmente uno scavo in grado di palesare sullo schermo il processo creativo che porta alle scenografie – alcune delle quali complesse e decisamente riuscite – che animano le serate in Avenue George V, è altrettanto vero che l’intera attenzione di Wiseman sembra concentrarsi esclusivamente sul luogo in quanto tale. Come se si stesse confrontando con il Mito, il regista nativo di Cambridge, Massachusetts, si tiene a debita distanza, non interagendo con le artiste ma preferendo seguirle fin nei loro camerini, con uno sguardo che abbandona qualsiasi velleità puramente voyeristica per approcciare uno stile quasi entomologico. Uno sguardo dall’alto su un microcosmo a sé stante, inquadrato in interni per gran parte del documentario – il mondo “di fuori” entra in scena solo in un paio di circostanze e per pochissimo tempo – che non smarrisce comunque in tutto e per tutto il rigore cui Wiseman ha sempre abituato il proprio pubblico (e in tal senso appare operazione tutt’altro che superflua porre Crazy Horse in relazione con La danse – Le ballet de l’Opéra de Paris).

Nonostante il lavoro presenti in alcuni passaggi tutti i crismi dell’opera portata a termine su commissione, Wiseman si permette almeno una sequenza degna delle proprie vette artistiche: il lungo provino al termine del quale la direzione del Crazy Horse deve scegliere le nuove ragazze da aggiungere al proprio corpo di ballo. Un’asettica visione delle giovani aspiranti al posto, impegnate in balli da eseguire rigorosamente “al naturale”, meticciata in sottofondo dai commenti – aspri, inconsapevolmente crudeli – che si scambiano i direttori artistici del locale. Un istante di cinema che forse meglio di tutto il resto riesce a cogliere fino in fondo il piacere effimero e al contempo gratificante di trovarsi su un palco ed esibirsi per un nugolo di spettatori che con ogni probabilità, sono lì più per i seni al vento e i fondoschiena tondeggianti che per assistere a uno spettacolo in piena regola. A loro volta non troppo coscienti, forse, di trovarsi di fronte la materializzazione dell’eterno duello tra desiderio tangibile e fuga verso l’etereo. Come le dita in controluce che costruiscono fugaci figure su un muro bianco.

Info
Il trailer di Crazy Horse.
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