La talpa

La talpa

di

Divisa in due schieramenti e fondata su un sistema di relazioni in cui a ogni nuovo movimento di una pedina dei due schieramenti corrisponde un nuovo (e diverso) posizionamento, la scacchiera è assunta come un oggetto-mondo. Metonimia di un universo ancora schierato in blocchi contrapposti, la scacchiera diventa dunque l’immagine capace di dare un senso ulteriore a Tinker Taylor Soldier Spy (La talpa).

La scacchiera

Quando si inizia a sospettare che ai vertici dei servizi segreti inglesi ci sia un traditore, un finto amico che fa il gioco del nemico e che è assolutamente necessario smascherare il più in fretta possibile per la sicurezza della Gran Bretagna e dell’intero occidente, toccherà all’agente segreto George Smiley snidare la talpa. Nella sua pericolosa impresa Smiley non potrà fidarsi di nessuno… [sinossi]

La storia della settima arte insegna che è sempre molto difficile lavorare un testo letterario nel linguaggio delle immagini e dei suoni. Lo è ancor di più se il romanzo è universalmente riconosciuto come un’opera-chiave e se può già vantare una felice trasposizione in chiave audiovisiva. Sul giudizio di ogni operazione del genere è dunque inevitabile che pesi non solo la scelta del soggetto ma anche la chiave con cui esso viene riproposto in una determinata epoca, il livello di autonomia raggiunto nell’ambito di un orizzonte crossmediale e se la sua rilettura moderna riesca ad aggiungervi un’interpretazione (quand’anche addirittura una prospettiva) nuova, senza dunque limitarsi a una mera illustrazione.
Confrontarsi con uno dei capolavori del genere spy e con la fortunata serie televisiva in sette puntate che ne ha tratto la BBC nel 1979, fa dunque del terzo lungometraggio diretto dal talentuoso regista svedese Tomas Alfredson (già autore di Lasciami entrare, uno degli horror più seducenti degli ultimi anni, già oggetto di culto per i cinefili nonché di un istant-remake americano) un testo da analizzare con attenzione, senza tralasciare alcun dettaglio. A cominciare dal fatto che Tinker Taylor Soldier Spy (in italiano La talpa) conserva il titolo originale dell’opera che inaugura la cosiddetta trilogia di Karla firmata da John Le Carré – pseudonimo utilizzato da un’ex-spia al servizio di Sua Maestà britannica, il gallese David Cornwell, per coprire la propria identità al momento dell’uscita dei suoi primi romanzi. Oltre a ciò però, ne conserva anche l’ambientazione (l’intera vicenda si svolge tra il 1973 e l’inizio del 1974, quindi ancora pienamente nel clima della guerra fredda) e i personaggi principali. Limitandosi solo a qualche lieve seppur significativa variazione che, pur condensando moltissimo il materiale a disposizione (un libro di quasi 400 pagine), mantengono comunque intatti la struttura e l’intreccio. Tutte scelte che sembrerebbero essere, al di là del look vintage, decisamente anticommerciali, laddove la scommessa è puntare su una spy-story in cui le sequenze action sono ridotte al minimo e su un protagonista in assoluta controtendenza rispetto al modello jamesbondiano – quello della spia bella&attraente&dinamica – tuttora imperante nel genere. Un modello però, è bene ricordarlo, al quale il personaggio inventato a suo tempo da Le Carré (George Smiley) seppe efficacemente contrapporsi. E che qui viene rinvigorito dalla nuova versione fornita grazie all’interpretazione di Gary Oldman (capace di riaggiornare, personalizzandola, la storica interpretazione che ne diede sir Alec Guiness). In questa apparente fedeltà al romanzo del 1973 la messinscena adottata da Alfredson diventa dunque assolutamente rilevante.

Per fortuna il rischio di cadere nell’illustrazione viene fugato subito, quando già nella seconda sequenza (ambientata a Budapest) Alfredson lascia intendere quale sia il segno che ne caratterizza il progetto di regia. Nel breve carrello indietro che arretra lo sguardo da un campo lungo dall’alto della capitale ungherese a uno in cui si “sente” la cornice della struttura in pietra di un’antica apertura, c’è infatti già l’indicazione di come leggere La talpa. Un testo filmico in cui lo spostamento (della prospettiva) e l’inscatolamento sono elementi fondamentali per l’interpretazione.
Per l’intera durata del film infatti, il regista svedese gioca con gli spostamenti di tempo, di luogo, di sguardo fornendo spesso una falsa prospettiva. Ci si accorge così solo molto tempo dopo che una sequenza alla quale si è assistito in realtà non era un flashback, come le cose lasciavano supporre (un personaggio morto che si vede vivo e vegeto), bensì inserita in una successione lineare. Così come in alcuni casi basta un semplice movimento di macchina per far coesistere tempi diversi, quello dell’attualità e quello del ricordo. È il caso ad esempio del momento in cui George Smiley rievoca il suo primo incontro con Karla (pseudonimo di un agente russo a suo tempo conosciuto da Smiley che rappresenta simbolicamente l’intero servizio segreto sovietico): all’inizio della panoramica ci troviamo nel 1973, alla fine nel 1955. Così come frequenti sono le inquadrature dove i protagonisti, il gruppo delle cinque spie (Smiley più le quattro potenziali talpe) a cui è legata la filastrocca del titolo, sono osservati dietro vetri, finestre, superfici trasparenti. Quasi come fossero pesci in un aquario, costretti a osservare senza rendersi conti di essere continuamente osservati, ritratti nella loro disperata solitudine.

In questo continuo gioco tra punti di vista incrociati e sfalsamenti di prospettiva, diventa dunque estremamente significativa l’immagine della scacchiera a cui sono legate le cinque pedine attorno alla quale ruota l’indagine. Un oggetto dall’alto potenziale simbolico, che probabilmente connota il film di una prospettiva inespressa dal libro di Le Carré. La vera falla del sistema non è provocata dalla talpa, la falla è nel sistema stesso, nella sua costituzione: un sistema contrapposto che necessita di pedine. Divisa in due schieramenti (bianchi/neri, Est/Ovest) e fondata su un sistema di relazioni in cui ad ogni nuovo movimento di una pedina dei due schieramenti corrisponde un nuovo (e diverso) posizionamento, la scacchiera è dunque assunta come un oggetto-mondo. Metonimia di un universo ancora schierato in blocchi contrapposti, la scacchiera diventa dunque l’immagine capace di dare un senso ulteriore alla trasposizione. Esattamente come succede alle ultime parole della talpa pronunciate al momento in cui dà conto delle motivazioni del suo tradimento. Parole che risuonano provocatoriamente lungimiranti: “La mia è stata una scelta estetica più che morale. L’Occidente è diventato brutto!”.

Info
Il trailer italiano de La talpa.
Il sito ufficiale de La talpa.
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-01.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-02.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-03.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-04.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-05.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-06.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-07.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-08.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-09.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-10.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-11.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-12.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-13.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-14.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-15.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-16.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-17.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-18.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-19.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-20.jpg
  • La-talpa-2011-Tomas-Alfredson-21.jpg

Articoli correlati

Leave a comment