I Puffi

I Puffi

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Probabilmente non ci si poteva attendere troppo di più da un’operazione del genere, che esplora un mondo, quello dei Puffi, non avendo nemmeno il tempo materiale per emulare le varie sfaccettature di un’opera letteraria non minuscola.

Un puffo nel passato

Costretti a scappare dal loro villaggio per sfuggire dal loro vecchio nemico, Gargamella, i Puffi, si ritrovano catapultati nel bel mezzo di Central Park. Non abituati a vivere tra gli uomini, i piccoli omini blu, devono cercare in tutti i modi di far ritorno al loro villaggio, senza farsi catturare dall’odiato stregone… [sinossi]

Quando il fumettista belga Peyo, al secolo Pierre Culliford, nel 1958 creò Schtroumpfs, scioglilingua che in Italia è diventato I Puffi (The Smurfs in inglese), delle minuscole creature blu che abitano in un villaggio imprecisato dell’epoca medievale, mai forse avrebbe pensato di poter raggiungere una simile popolarità. Dopo versioni a fumetti e qualche lungometraggio, la vera esplosione avvenne con l’intervento produttivo di Hanna-Barbera che diede vita a una serie tv che all’inizio degli anni Ottanta fece il giro del mondo con clamoroso successo. Più di altre creazioni della letteratura per ragazzi, i nanetti blu col cappello bianco entrarono nell’immaginario collettivo sembrando decisamente predisposti a veicolare una sfilza di valori pronti per l’uso. Cavalcando un’onda vagamente fricchettona infatti vi fluivano concetti come l’appartenenza alla comunità sociale sopra ogni cosa, l’armonia con la natura, e soprattutto per bambini e adolescenti l’esternazione e l’accettazione dei propri difetti all’interno della massa. Diventarono così famosi come veri e propri tormentoni i vari personaggi puffo: brontolone, quattrocchi, vanitoso, tontolone e tanti altri, fino ad arrivare all’unica femmina, Puffetta, e al capo dei puffi con tanto di barba bianca, ovvero Grande Puffo. E insieme a essi ovviamente i “non puffi”, gli unici personaggi cattivi, ovvero il mago Gargamella e il suo gatto Birba. Talmente inseriti nell’immaginario comune da poter creare un vero e proprio merchandising, che a tutt’oggi, nonostante la serie non venga più trasmessa dagli anni Novanta, è ancora piuttosto prolifico. Proprio per questo, l’operazione nostalgia della Columbia Pictures è tutt’altro che avventata, sia per gli ingenti investimenti in ambito pubblicitario, sia per la presumibile voglia o curiosità, o diversivo dalla noia che potrebbe portare vari genitori a caricarsi per far conoscere ai propri bambini quelli che una volta erano i loro idoli d’infanzia, se non veri e propri simulacri.

Il film di Raja Gosnell, specialista del genere da Mamma ho preso il morbillo a Scooby-Doo, è sin dall’inizio un’idea che nasce con l’intento di vivacchiare di rendita. I puffi sono quelli che conosciamo già, e basta ripresentarli in una veste più a passo coi tempi, la computer grafica e il 3D, per poter già catturare l’interesse dello spettatore. In parte la pellicola è figlia di questo ragionamento, che porta dunque a un prevedibile impoverimento della trama con, dopo pochi minuti, l’arrivo del perfido Gargamella a cercare di ravvivare situazioni in cui le musiche e la comicità stentano a decollare. Tutto fino al vero momento originale, ovvero l’approdo dei puffi nel mondo reale, più precisamente nella metropoli delle metropoli, ovvero New York. Siamo quindi di fronte al consueto pastiche in cui degli esseri di un altro mondo (il paragone con Super 8 è più che mai casuale) si incontrano con la nostra quotidianità, generando equivoci, paradossi e ovviamente dosi massicce di tenerezza visto che non stiamo parlando di Gremlins, ma di creature buone, anzi buonissime, seppur non troppo timide visto che diventano subito confidenti di una giovane coppia sposata piena di ansia per lavoro, quotidianità frettolosa e soprattutto per l’imminente nascita di un bambino. Premesso che il target dello spettatore non sembra essere superiore ai dieci-dodici anni, I puffi versione 2011 si muove in modo piuttosto prevedibile, non generando neanche grandi soluzioni visive, e concedendo una facile morale che equivale al tornare più bambini e innocenti (lo farà il protagonista maschile, l’ottimo Neal Patrick Harris) e allo stesso tempo più pronti a prendersi le proprie responsabilità di fronte alla famiglia che verrà a crearsi. Da un lato comunque, con i suoi inevitabili tasselli, la vicenda si segue con discreto interesse, giostrandosi bene tra le varie sottotrame, una soprattutto che vede Gargamella come possibile nuova firma nel mondo snob della moda, dall’altro invece sembra mancare la verve, un qualcosa in più alla pellicola. I vari siparietti dei puffi in mezzo alle tecnologie moderne sono simpatici, ma mai realmente divertenti, così come altri momenti sono teneri ma mai commoventi. Probabilmente non ci si poteva attendere troppo di più da un’operazione del genere, che esplora un mondo, quello dei Puffi, non avendo nemmeno il tempo materiale per emulare le varie sfaccettature di un’opera letteraria non minuscola (e anche le versioni animate sono molteplici). E chiaramente in questa riproposizione “a perdere” del vecchio mito puffante, il film finisce per pagare direttamente il tributo facendo incontrare letteralmente i nuovi puffi con i libri di Peyo, che appunto, una volta sfogliati, gli spiegheranno la via per tornare a casa: un momento di metacinema che comunque appare più che mai una trovata di sceneggiatura piuttosto blanda. Non sappiamo dire se sia per colpa dei limiti di questo film, oppure della nostra epoca, ma i puffi sembrano quanto mai lontani dal mondo attuale, e anche dalle sue utopie e allucinazioni più ottimistiche.

Info
Il trailer de I Puffi.

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