The Raid: Redenzione
di Gareth Evans
Terza regia di Gareth Evans dopo i pluri-premiati Footsteps e Merantau, The Raid: Redenzione è un frullato incandescente di detonazioni, conflitti a fuoco e corpo a corpo a mani nude senza esclusione di colpi. Presentato al Torino Film Festival 2011.
Unica via d’uscita
Giacarta, Indonesia. Un palazzo inespugnabile per la polizia è un vero e proprio covo dove si nascondono ladri, assassini o stupratori. Una squadra di Swat deve irrompere nell’edificio per arrestarne il proprietario, Tama, noto e potente signore della droga. Muovendosi alle prime luci dell’alba, riescono a entrare nel palazzo, ma, quando la loro copertura salta, si ritrovano intrappolati e assediati, con tutte le uscite bloccate e l’intero edificio contro di loro. La loro missione diventa così una lotta per la sopravvivenza, stanza dopo stanza, piano dopo piano… [sinossi – Torino Film Festival]
Primo capitolo di una futura trilogia, sbarca nel concorso della ventinovesima edizione del Torino Film Festival The Raid: Redenzione, action movie made in Indonesia diretto da Gareth Huw Evans. Gioia per gli occhi e un po’ meno per le orecchie, il film del regista gallese, qui alla terza esperienza dietro la macchina da presa dopo i fortunati e pluri-premiati Footsteps e Merantau, è un frullato incandescente di detonazioni, conflitti a fuoco e corpo a corpo a mani nude senza esclusione di colpi. Uno spettacolo da non perdere per i cultori e gli appassionati del cinema di genere, offerto alla platea attraverso un mix gustoso di combat movie e martial arts action che la pellicola somministra a dosi massicce dal primo all’ultimo fotogramma utile. Evans spinge subito il pedale sull’acceleratore, mettendo in rapida sequenza – e senza soluzione di continuità – una serie di sequenze da antologia che non danno la possibilità allo spettatore di rifiatare: dalla sparatoria nell’appartamento con il soffitto bucato chiusa con l’esplosione del frigorifero ai combattimenti tra i corridoi, i laboratori dove si lavora la cocaina, gli appartamenti e la stanza delle torture. In tal senso, da manuale quella che vede i due fratelli impegnati nell’estenuante e infinito scontro contro una delle guardie del corpo del boss.
Se ne esce storditi e frastornati come un pugile andato al tappeto dopo un gancio andato a segno, ma anche parecchio divertiti da uno show talmente sopra dalle righe che risulta impossibile da prendere sul serio. Un’autentica dicotomia visto che quello che si materializza sul grande schermo è in realtà un autentico gioco al massacro che lascia dietro di sé un numero imprecisato di cadaveri, piombo a volontà, fratture multiple, arti spezzati e litri di sangue. Lo script è poco più che un canovaccio narrativo per trascinare lo spettatore tra i piani di quella che è a tutti gli effetti una vera e propria trappola per topi, per poi assistere a una sequela di combattimenti sempre più spettacolari e cruenti. Alla lunga la mancanza di originalità del plot, che normalmente pesa come un macigno sul giudizio critico di un film, qui al contrario diventa un peccato veniale che si può e si deve perdonare. Messe in chiaro le cose ci si può dunque lasciare trascinare in una caccia all’uomo che nel proprio dna racchiude il gene dell’assedio, quello di un luogo che diventa una fortezza inespugnabile e allo stesso tempo una tana da difendere, un rifugio per sopravvivere o un inferno di cemento dalla quale fuggire. Agli antipodi e con esiti diversi, da una parte ad esempio Michael Bay con The Rock e dall’altra John Carpenter con alcune delle sue creature filmiche (da Distretto 13: le brigate della morte a Grosso guaio a Chinatown), ci hanno mostrato come è possibile portarlo sul grande schermo. Inutile indicare quale dei due ci sia riuscito meglio, perché il confronto è a nostro parere (e penso per tanti altri) ad armi impari. Senza dimenticare che intorno e sull’assedio, registi asiatici del calibro di Johnnie To con Breaking News (l’appartamento di un palazzo al centro di Hong Kong), Ryu Seung-wan con The City of Violence (il ristorante) o Prachya Pinkaew con con The Protector (il lussuoso albergo) e il primo capitolo di Ong-Bak (la caverna), hanno dato vita a pellicole da scolpire a caratteri cubitali nella memoria. Ma in realtà la mente corre subito al progetto incompiuto di Bruce Lee, poi manipolato in maniera indecente e irrispettosa da Robert Clouse a qualche anno di distanza dalla morte del regista e attore hongkonghese, vale a dire Game of Death. Lì c’era da penetrare in una pagoda piena zeppa di trappole letali per un’operazione di salvataggio, in The Raid: Redenzione è la volta di una missione per stanare un pericoloso boss della malavita locale dalla sua stanza di controllo al quindicesimo piano di un grattacielo in quel di Giacarta. Il difficile compito di estirparlo vivo o morto da quel luogo spetta a un nucleo della SWAT e in particolare a uno dei suoi più agguerriti componenti, tale Rama.
Nei suoi panni una delle punte di diamante dell’action indonesiano, che risponde al nome di Iko Uwais, al quale va riconosciuto il merito, insieme a gran parte del nutrito cast, di aver valorizzato e reso al massimo sullo schermo le spettacolari coreografie marziali e balistiche che vanno a comporre lo scheletro portante del film. Coreografie davvero di ottima fattura, tanto dal punto di vista della gestione dello spazio (concentrate in ambienti ristretti) quanto da quello della velocità di esecuzione: meno eleganti rispetto alle geometrie chirurgiche disegnate nel tempo e nello spazio che si possono ammirare nel wuxiapian o alla poesia del movimento tipica del kung fu movie old style, a favore di una potenza di impatto che devasta i corpi, spezza le ossa e lacera le carni con lame affilate e che si fa selvaggia e brutale alla pari di quella che il più celebrato thai-action sta esportando a tutte le latitudini grazie alla bravura di Tony Jaa e ai film di specialisti del genere come Panna Rittikrai e del già citato Prachya Pinkaew.
Info
Il sito ufficiale di The Raid: Redenzione.
Il blog di The Raid: Redenzione.
La scheda di The Raid: Redenzione sul sito della Eagle Pictures.
- Genere: action, arti marziali, gangster movie, poliziesco
- Titolo originale: Serbuan maut
- Paese/Anno: Indonesia | 2011
- Regia: Gareth Evans
- Sceneggiatura: Gareth Evans
- Fotografia: Dimas Imam, Matt Flannery, Subhono
- Montaggio: Gareth Evans
- Interpreti: Alfridus Godfred, Ananda George, Doni Alamsyah, Eka 'Piranha' Rahmadia, Iang Darmawan, Iko Uwais, Joe Taslim, Johanes Tuname, Melkias Ronald Torobi, Mus Danang Danar Dono, Pierre Gruno, R. Iman Aji, Ray Sahetapy, Rully Santoso, Sofyan Alop, Sunarto, Tegar Satrya, Verdi Solaiman, Yayan Ruhian, Yusuf Opilus
- Colonna sonora: Aria Prayogi, Fajar Yuskemal
- Produzione: Celluloid Dreams, Merantau Films, Xyz Films
- Durata: 100'
