In the Land of Blood and Honey

In the Land of Blood and Honey

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Al di là dell’ammirevole spirito che lo anima, In the Land of Blood and Honey, esordio alla regia di Angelina Jolie, è un film completamente imperfetto, dominato da timbriche che parrebbero adatte più a un melodramma sentimentale che alla storia di un conflitto recente.

La favola della viltà

Negli anni Novanta, durante la guerra in Jugoslavia, Danijel, un poliziotto serbo bosniaco, ritrova Ajla, un’artista bosniaca musulmana, con la quale aveva avuto una relazione prima del conflitto. Mesi dopo Danijel è un ufficiale dell’esercito serbo bosniaco sotto il comando di suo padre, il generale Nebojsa Vukojevich. Lui e Ajla si incontrano nuovamente quando lei viene portata via dall’appartamento che divide con sua sorella Lejla… [sinossi]
Cupe vampe, livide stanze
occhio cecchino, etnico, assassino
alto il sole, sete e sudore
piena la luna, nessuna fortuna.
Ci fotte la guerra che armi non ha
ci fotte la pace che ammazza qua e là
ci fottono i preti, i pope, i mullah,
l’ONU, la NATO, la civiltà.
Bella la vita dentro un catino
bersaglio mobile di ogni cecchino,
bella la vita a Sarajevo città
questa è la favola della viltà.
CSI – Consorzio Suonatori Indipendenti, Cupe vampe

La guerra intestina che incendiò la Jugoslavia all’inizio degli anni Novanta del Ventesimo Secolo, costringendola di fatto a collassare su se stessa, ha vissuto al cinema alterne fortune: dopo l’indignato Benvenuti a Sarajevo, instant-movie (o giù di lì) diretto nel 1997 da Michael Winterbottom, che apriva a uno sguardo esterno sulla vicenda, la guerra è diventato un fatto quasi esclusivamente locale, legato alle produzioni delle varie cinematografie balcaniche – fa eccezione in tal senso Underground di Emir Kusturica, portato a termine anche grazie all’intervento dell’Unione Europea. L’Occidente si è di fatto lavato le mani di un conflitto sanguinoso e fratricida sulle cui sorti ha responsabilità enormi, preferendo glissare sui fatti e lasciando che serbi, croati, macedoni e via discorrendo si rimpallassero le colpe anche attraverso la Settima Arte.

Anche per questa serie di motivi acquista un particolare valore l’esordio alla regia di Angelina Jolie: il fatto che un’attrice statunitense di successo, inserita oramai da più di un decennio nel gotha di Hollywood, decida di sedersi per la prima volta dietro la macchina da presa per raccontare la tragica vicenda della guerra bosniaca tra le truppe serbe e quelle musulmane, dimostra un coraggio senza dubbio da rimarcare e sottolineare. Peccato però che si debba giocoforza rimanere nel campo delle buone intenzioni destinate a una fine poco gloriosa: In the Land of Blood and Honey, al di là dell’ammirevole spirito che lo anima, è infatti un film completamente imperfetto, dominato da timbriche che parrebbero adatte più a un melodramma sentimentale che alla storia di un conflitto recente e che ha tuttora conseguenze sui rapporti tra le varie nazioni. Infatti la Jolie, dopo aver contestualizzato i fatti, si limita a seguire da vicino le peripezie della musulmana Ajla, strappata dalle truppe serbe alla sorella e incastrata in un rapporto malato con il capitano serbo Danijel. Una scelta che costringe il film in una tinta fosca, tracimante un sadomasochismo mai realmente portato alle estreme conseguenze: Ajla, aspirante pittrice, è tenuta da Danijel come una proprietà privata, rinchiusa in una stanza alla quale solo lui può avere accesso. Il rapporto tra i due, viziato da un evidente squilibrio di potere, viene narrato dalla Jolie con l’afflato di un romanzo di harmony, con le psicologie dei personaggi che perdono gradualmente logica e senso compiuto e un gusto per la scena madre che rischia in alcuni casi di sfiorare il cattivo gusto. Gran parte della violenza mostrata nel corso del film appare francamente gratuita, e alcune scelte – il totale sulla donna che si china a raccogliere dalla strada il corpicino del bimbo lanciato dal balcone dalle truppe serbe, tanto per fare un esempio – rasentano la gratuità più totale.

D’altro canto anche la rappresentazione storica dei fatti appare superficiale e del tutto inadatta a un film dalle velleità così elevate: la guerra di Bosnia, che nel corso di tre anni vide la morte di poco meno di centomila persone, viene ridotta a una serie di scaramucce a distanza e una componente di primaria importanza della scissione interna, vale a dire le milizie del Consiglio di difesa Croato, viene letteralmente eliminato dalla scena, né mai citato in uno dei dialoghi. Il risultato finale è un feuilleton prevedibile e privo di finezza intellettuale, in cui si dà più peso agli umori dei personaggi costruiti a tavolino che alle reali e credibili esigenze di una popolazione costretta a vivere nella paura. La Jolie, ancora immatura da un punto di vista registico, non possiede tra l’altro la capacità di scavare in profondità e si lascia prendere la mano da una serie di climax emotivi degni al più di un fotoromanzo.
Un evento di importanza capitale come la guerra di Bosnia avrebbe meritato senza dubbio un trattamento meno sciatto, e dispiace in particolar modo veder sprecate le potenzialità di un cast (Zana Marjanovic, Goran Kostic, Rade Serbedzija, Vanesa Glodjo) in ottima forma.

Info
Il trailer di In the Land of Blood and Honey su Youtube
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