Harakiri
di Masaki Kobayashi
Tratto dal romanzo Ibun ronin-ki di Yasuhiko Takiguchi e sceneggiato da Shinobu Hashimoto, Harakiri possiede una scrittura e una mise-en-scène rigorosamente geometriche, i cui vuoti temporali e spaziali sono riempiti di vita morte e significato con una solennità quasi rituale, assecondata dai calibrati movimenti di macchina, dai lunghi quadri fissi, dal tono marziale dei protagonisti e dalla struttura della dimora del casato degli Iyi.
Il ronin Hanshiro Tsugumo si presenta alle porte della casa Iyi, nella città di Edo, e chiede all’attendente della nobile famiglia di poter compiere il rito del seppuku tra le mura della dimora, così da porre fine onorevolmente alla propria vita. Ridotto in miseria dopo la caduta del signore di Geishu, Hanshiro mostra una ferma convinzione e a nulla servono le parole dell’intendente, che per dissuaderlo gli narra della sorte del giovane ronin Motome Chijiiwa, costretto a tagliarsi il ventre con una spada di bambù… [sinossi]
Lontanissimo dal cinema popolare e da una rappresentazione classica della figura del samurai, Masaki Kobayashi prosegue con Harakiri (Seppuku, 1962) la sua battaglia contro il potere, contro l’oppressione e le menzogne del sistema politico. In questo gendaijeki camuffato da jidaigeki [1], Kobayashi rinuncia non solo alle potenzialità spettacolari del genere, cristallizzando la pellicola in un’annichilente cupezza, ma smonta pezzo per pezzo l’icona del guerriero, la sacralità del bushido [2], smascherando l’ipocrisia e l’arroganza dei vertici politici e militari. È nella messa in scena della spudorata e crudele sopraffazione del singolo individuo e della noncuranza di qualsiasi principio etico che il film del cineasta nipponico assume i contorni di un lucido affresco contemporaneo, nonché futuro. L’inevitabile sconfitta di Hanshiro Tsugumo, unico vero samurai in un contesto privilegiato e corrotto, smaschera la viltà degli uomini di potere, indifferenti alle difficoltà e alle pene della vita normale, ma denuncia anche l’impotenza dell’uomo comune e onesto, destinato ieri come oggi a essere sopraffatto. E la sconfitta di Hanshiro, pur superiore sia nell’arte della spada che nel rispetto dei codici morali, è tragicamente doppia: il suo gesto estremo non può che essere rimosso, dimenticato, mentre il potere si rinnova anno dopo anno dal periodo Tokugawa fino all’epoca Showa e poi Heisei [3].
Tratto dal romanzo Ibun ronin-ki di Yasuhiko Takiguchi e sceneggiato da Shinobu Hashimoto, Harakiri possiede una scrittura e una mise-en-scène rigorosamente geometriche, i cui vuoti temporali e spaziali sono riempiti di vita morte e significato con una solennità quasi rituale, assecondata dai calibrati movimenti di macchina, dai lunghi quadri fissi, dal tono marziale dei protagonisti e dalla struttura della dimora del casato degli Iyi. Svelando passo dopo passo, attraverso una lunga serie di flashback, le reali intenzioni di Hanshiro e il tragico destino di Motome, Kobayashi rinvia di sequenza in sequenza la componente spettacolare, il momento culminante del duello: ma nel percorso di svelamento della verità celata e della reale natura del casato, anche l’epilogo assume contorni differenti, sempre più distanti dalla tradizione dei jidaigeki, dall’esaltazione dello spirito patriottico, dalla romantica rappresentazione dell’icona del samurai. Ed è proprio alla fine dell’impari scontro che qualsiasi afflato puramente spettacolare viene meno, schiacciato dal peso di una tragedia dal significato universale: mentre il valoroso Hanshiro si taglia il ventre, in ossequio a un codice che ha sempre fedelmente rispettato, i terrorizzati componenti del clan degli Iyi non possono che ricorrere alle armi da fuoco, gesto imperdonabile anche per un samurai di mezza tacca.
Perfettamente antitetico alla vivacità del samurai/contadino Kikuchiyo de I sette samurai (Shichinin no samurai, 1954) o del guerriero Sanjuro de La sfida del samurai (Yojinbo, 1961), entrambi di Kurosawa, Hanshiro sembra incarnare la figura dell’ultimo vero samurai, ruolo che con la pace forzata dell’epoca Tokugawa smarrisce il proprio significato, la propria ragion d’essere. Attraverso Hanshiro, interpretato con efficacia da Tatsuya Nakadai, Kobayashi porta a termine una spietata decostruzione della tradizionale figura del guerriero, svuotando di qualsiasi nobile significato il rito del seppuku.
Vincitore del Premio speciale della giuria al Festival di Cannes del 1963, Harakiri è stato recente oggetto di un fedele e valido remake con qualche parco accenno stereoscopico, Hara-Kiri: Death of a Samurai (Ichimei, 2011), diretto da Takashi Miike e presentato in concorso sulla Croisette.
Note
1. «Harakiri non è affatto un film di samurai… No, è un gendaijeki, un soggetto direttamente contemporaneo»: Masaki Kobayashi in un’intervista pubblicata su Il nuovo spettatore cinematografico, n. 3, 1963.
2. Il bushido, “la via del guerriero”, è il codice di condotta e di vita dei samurai che prevede non solo norme di disciplina militare ma anche morale; il bushido viene formalmente elaborato proprio durante gli anni dell’epoca Tokugawa (1603-1868).
3. Il periodo Showa (25 dicembre 1926 – 7 gennaio 1989) corrisponde al regno dell’imperatore Hirohito, mentre il periodo Heisei comincia l’8 gennaio 1989 con l’ascesa al trono dell’imperatore Akihito dopo la morte del padre.
Info
Il trailer di Harakiri.
La scheda Imdb di Harakiri.
La proiezione in pellicola di Harakiri di Masaki Kobayashi è prevista per giovedì 8 marzo 2012 alle 21.45 presso la Cineteca Nazionale di Roma (Vicolo del Puttarello, 25), in occasione della rassegna Nihon Eiga – Storia del Cinema Giapponese dal 1945 al 1969.
La scheda di Harakiri è tratta dal volume
Nihon Eiga
Storia del Cinema Giapponese dal 1945 al 1969
a cura di Enrico Azzano e Raffaele Meale
prefazione di Roberto Silvestri
csf edizioni, 2012
ISBN 978-88-905283-1-6
224 pagine, 17 euro
- Genere: drammatico, jidai-geki
- Titolo originale: Seppuku
- Paese/Anno: Giappone | 1962
- Regia: Masaki Kobayashi
- Sceneggiatura: Shinobu Hashimoto
- Fotografia: Yoshio Miyajima
- Montaggio: Hisashi Sagara
- Interpreti: Akira Ishihama, Hisashi Igawa, Ichiro Nakatani, Kei Sato, Masao Mishima, Shima Iwashita, Tatsuya Nakadai, Tetsuro Tanba, Toru Takeuchi, Yoshio Inaba
- Colonna sonora: Tōru Takemitsu
- Produzione: Shochiku
- Durata: 133'
