Kiss of the Damned

Kiss of the Damned

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Tra vampiri dandy e vittime sacrificali che non si rendono conto fino all’ultimo di quanto il loro destino sia inesorabilmente segnato, Kiss of the Damned di Xan Cassavetes è un horror esangue, bolso, nato vecchio.

Canini senza smalto

Djuna è un’affascinante vampira ritiratasi a vivere in una splendida magione nel Connecticut. Conosce Paulo, uno sceneggiatore che si innamora di lei. Djuna non vorrebbe coinvolgerlo nel suo inevitabile destino, ma poi cede alla passione. L’arrivo della malefica sorella Mimi metterà in pericolo la loro relazione e la vita dell’intera comunità… [sinossi]

Più passano gli anni più l’eredità artistica di John Cassavetes si smarrisce tra le mani dei figli, tutti più o meno impegnati nel campo della Settima Arte. Nick, il più prolifico, dopo aver pagato pegno alla carriera paterna con il poco riuscito She’s so Lovely (tratto da una sceneggiatura scritta dal padre) ha continuato a muoversi nell’ambiente dell’indie a stelle e strisce senza mai trovare una propria collocazione precisa; Zoe, la più piccola (classe 1970), ha diretto nel 2007 la rom-com Broken English; infine Xan (diminutivo di Alexandra), dopo essere stata svezzata dal fratello nel 2006 come regista della seconda unità di riprese di Alpha Dog, esordisce alla regia in proprio con Kiss of the Damned, il film scelto dalla Settimana della Critica come chiusura ufficiale fuori concorso.Davvero difficile intuire, al di là del grado di parentela con uno dei padri (materiali e spirituali) dell’indipendenza cinematografica, quali corde possa aver smosso il film nel comitato di selezione, per convincere della necessità di mostrare al popolo degli accrediti presente al Lido quest’horror esangue, bolso, nato vecchio.

Il problema di fondo che affligge Kiss of the Damned è tutto nel manico: che senso ha tornare a disquisire su tematiche vampiresche se nel proprio dna espressivo non vi è nulla che abbia la forza di distaccarsi dal già visto, già metabolizzato e già digerito? La storia dell’amore senza freni tra Djuna e il neo-vampirizzato Paolo, sceneggiatore in crisi di ispirazione rifugiatosi nel Connecticut per lavorare in santa pace a uno script, non possiede alcun germe in grado di instillare interesse nello spettatore: la crisi di identità di Djuna – che non ama la propria vita e non vorrebbe cedere all’aspetto più belluino della propria indole – è la stessa fronteggiata in passato (per fare un esempio) da Anne Parillaud in Innocent Blood di John Landis, così come il personaggio di Xenia (il leader del clan di vampiri interpretata da Anna Mouglalis) fa inevitabilmente tornare alla mente l’elegante decadenza che caratterizzava Miriam Blaylock/Catherine Deneuve in Miriam si sveglia a mezzanotte di Tony Scott. Tra vampiri dandy amanti del buon vino e del teatro, villain che hanno deciso di non sposare lo stile di vita ecumenico e politically correct che prevede cibarsi di animali e non umani, vittime sacrificali che non si rendono conto fino all’ultimo di quanto il loro destino sia inesorabilmente segnato, Kiss of the Damned arranca lungo la sua ora e quaranta di durata affidandosi a uno stile che vorrebbe guardare dalle parti dell’estatica eleganza kubrickiana di Eyes Wide Shut ma piuttosto si ritrova a fare i conti con la patina à la harmony della perniciosa saga di Twilight.

Ne viene fuori una sorta di James Ivory più deteriore con aggiunta estetica dei canini puntuti, elogio del vacuo che non ha il coraggio di sporcarsi le mani con l’horror vero e proprio e si lascia andare a pretestuosi languori romantici goffamente incarnati dal duo composto da Joséphine de la Baume e Milo Ventimiglia. La regia di Xan Cassavetes è talmente innamorata di sé da non rendersi neanche conto di quanto il film stia sfuggendo dai binari sui quali doveva essere incanalato: la materia popolare non solo viene svilita, ma l’interpretazione intellettuale si limita a una reiterazione infinita di banalità sul rapporto di forza tra cacciatore e cacciato e sul senso di colpa per l’omicidio, ultimo residuo di un’umanità per il resto impalpabile. Per tacere dell’erotismo da rotocalco rosa, poco visibile e ancor meno coinvolgente, e della monocorde interpretazione della “cattiva” Roxane Mesquida, cresciuta alla corte di Catherine Breillat. Rimane da citare solo la comparsata di Michael Rapaport, lampo di luce in un universo buio non per fotofobia ma per sclerosi artistica. Con ogni probabilità il nadir della sessantanovesima edizione della Mostra del Cinema.

Info
Il trailer di Kiss of the Damned.
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