Appartamento ad Atene

Appartamento ad Atene

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Là dove Appartamento ad Atene dovrebbe prendere l’aire e cogliere l’occasione per compiere il balzo definitivo da un punto di vista emotivo, la struttura inizia a far intravedere le crepe che già si erano accumulate in precedenza, nello stanco rapporto familiare dominato da un padre pavido e all’apparenza sottomesso, una moglie volitiva e due bambini dalla psicologia piuttosto nebulosa.

L’ospite indesiderato

1942, Grecia. Ad Atene un appartamento viene requisito per ospitare un ufficiale nazista. Nell’appartamento vivono gli Helianos, una coppia di mezza età un tempo agiata. Lui è un intellettuale spiritoso e paziente, proprietario di una piccola casa editrice, lei una donna di casa, ansiosa e malaticcia. I due hanno un figlio di dodici anni animato da melodrammatiche fantasie di vendetta, e una bambina di dieci che soffre di un forte ritardo mentale. Con l’arrivo del capitano Kalter tutto è cancellato… [sinossi]

Se c’è un dato di fatto riguardo Appartamento ad Atene su cui vale la pena spendere un sincero elogio, risiede senza dubbio nella capacità di questa piccola produzione di ritagliarsi un posto di primaria importanza all’interno della mappatura festivaliera internazionale. Negli ultimi dodici mesi il film di Ruggero Dipaola è stato infatti selezionato in ben cinquantuno festival in giro per il mondo, e in ventisette occasioni è anche riuscito nell’impresa di non tornare a casa a mani vuote. In un’epoca avara di soddisfazioni per il cinema italiano al di fuori dei confini (se si escludono i colpi di coda dei soliti autori) la notizia che un film indipendente abbia la capacità di comprendere come le poche risorse della penisola non possono più bastare ad appagare storie che si vorrebbero universali. Tanto più che Appartamento ad Atene è tratto da un noto romanzo di Glenway Wescott, pubblicato nel 1945 ed edito in Italia da Adelphi: a ridosso della conclusione della Seconda Guerra Mondiale lo scrittore statunitense descrisse il dramma intimo, quotidiano, di una famiglia greca che si trovava costretta a convivere con un capitano dell’esercito tedesco occupante. Un tema all’epoca ancora caldo che Wescott tratteggiò sulla carta attraverso una scrittura minimale, sofferta e introspettiva allo stesso tempo.

Da un punto di vista strettamente produttivo è impossibile non comprendere l’ambizione che ha guidato Dipaola: asciugando qua e là il romanzo era infatti possibile costringere l’azione quasi interamente nell’appartamento della famiglia Helianos – il padre, prima della guerra, possedeva una piccola casa editrice, che gli ha permesso di crescere i figli in una moderata agiatezza – semplificando al massimo il piano di lavorazione. E l’elemento claustrofobico sarebbe stato senza dubbio il più interessante, se solo il regista avesse deciso di affrontarlo, lavorando di fino sulle psicologie dei personaggi protagonisti (oltre al capofamiglia e al capitano nazista ospitato ci sono la moglie di Helianos e i due figli, un maschio e una ragazzina quasi adolescente): invece Dipaola opta essenzialmente per un kammerspiel ambientato durante il periodo bellico, abbandonando qualsiasi deriva ossessiva e concentrando l’attenzione sul personaggio del Capitano Kalter (interpretato dal sempre professionale Richard Sammel) e sul suo rapporto di malata amicizia con il suo padrone di casa, Nikolas Helianos (il lavoro attoriale di Gerasimos Skiadaresis è impoverito nella versione italiana da un doppiaggio inevitabilmente castrante).

Seppur in grado, nonostante la generale piattezza della messa in scena – e alcune elaborate scelte di inquadratura non si riescono ad amalgamare con la restante parte dell’impianto visivo – di mantenere un certo sobrio equilibrio nella prima metà di film, Dipaola vede inesorabilmente sfuggirgli la storia dalle dita al momento del punto di svolta della trama, quando cioè Kalter viene richiamato in patria per problemi personali. Là dove Appartamento ad Atene dovrebbe prendere l’aire e cogliere l’occasione per compiere il balzo definitivo da un punto di vista emotivo, la struttura inizia a far intravedere le crepe che già si erano accumulate in precedenza, nello stanco rapporto familiare dominato da un padre pavido e all’apparenza sottomesso, una moglie volitiva e due bambini dalla psicologia piuttosto nebulosa. Propria la scrittura dei personaggi dei due figli permette di aprire il fianco su una sceneggiatura francamente sciatta, del tutto incapace di coprire buchi narrativi enormi e costretta ad accelerare in modo quasi sfrenato nel pre-finale, vale a dire quando i segreti occultati da Kalter devono finalmente deflagrare sullo schermo. Il dialogo rivelatore tra Kalter e Helianos, climax dell’intero film, rappresenta l’ennesima occasione sprecata di un film dagli intenti sicuramente lodevoli ma incapace di tradurre le aspirazioni in immagine in movimento. Non basta affidarsi alla solida recitazione di un cast tutt’altro che povero per riuscire a donare credibilità drammatica a un’opera stanca, poco partecipata da un punto di vista emotivo e profondamente anaffettiva. Una produzione calcolata, che potrà anche fare incetta di premi da un punto all’altro del globo – la tematica, quella del nazismo (pur appena accennata in un film che vira verso tutt’altra destinazione) riesce sempre a mettere d’accordo le giurie… – ma non lascerà troppa traccia di sé negli anni a venire. In attesa di scoprire cosa riserverà il futuro a Dipaola, non si può che parlare di un’occasione sprecata.

Info
Il trailer di Appartamento ad Atene.

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