Di nuovo in gioco

Di nuovo in gioco

di

Un rapporto irrisolto padre/figlia, il confronto tra il vecchio e il nuovo visto attraverso i campi da baseball: Di nuovo in gioco, esordio alla regia di Robert Lorenz, è un film solido, ma senza personalità.

Il suono dell’esperienza

Gus Lobel è da decenni uno dei migliori scout del baseball, sempre in cerca di nuovi talenti sportivi; tuttavia, malgrado cerchi a tutti i costi di nasconderlo, l’età avanza. Ma Gus, che è in grado di riconoscere il tipo di battuta solo dal rumore della mazza da baseball, si rifiuta di finire in “panchina” e di terminare così gli ultimi anni della sua brillante carriera… [sinossi]

L’America che cambia, l’aggiornamento tecnologico, le spigolosità del confronto generazionale, la difficoltà di relazione degli anziani, spesso in affanno rispetto a nuovi ritmi, nuove esigenze, nuovi mezzi: è questo il fulcro attorno a cui ruota Di nuovo in gioco (Trouble with the curve secondo il titolo originale), esordio alla regia di Robert Lorenz che segna il ritorno davanti alla macchina da presa di Clint Eastwood che – dopo aver annunciato il suo ritiro dalle scene come attore con la ruvida interpretazione di Walt Kowalski in Gran Torino – ha ceduto di fronte al progetto di Lorenz, suo vecchio collaboratore sia in veste di aiuto-regista che produttore, prestandosi al ruolo di protagonista.
Queste le premesse del film che sfrutta la tematica sportiva per portare sullo schermo un dramma classicissimo, quello del rapporto insoluto fra un padre burbero ma dal cuore tenero e una figlia che fatica a trovare il proprio spazio nel rapporto con il genitore, la storia di due caratteri tanto simili quanto apparentemente poco conciliabili le cui dinamiche sono raffreddate da anni di incomprensioni: un talent scout del baseball ormai anziano e ipovedente rischia di perdere il suo lavoro a causa dell’affermazione dei calcoli matematici per la valutazione dei nuovi talenti da selezionare, così la figlia – una giovane avvocatessa dalla carriera in ascesa – viene invitata dall’amico e collega di suo padre ad affiancarlo nella sua trasferta in North Carolina.

L’altra faccia di Moneyball – L’arte di vincere: questa è la considerazione che può scaturire a fronte del comune ritratto del baseball e della sua evoluzione, interpretata peraltro come metaforico riferimento ai cambiamenti che in generale stanno attraversando la comunità americana e globale. Anche qui come nel film di Bennet Miller – che ha fatto incetta di nomination e riconoscimenti in giro per il mondo – torna la centralità della sabermetrica, questo è il nome dell’analisi basata sulle statistiche della conoscenza oggettiva dei giocatori: ma se nel film interpretato da Brad Pitt questa rappresentava lo slancio propulsivo della pellicola, qui il meccanismo di reclutamento attraverso i calcoli rappresenta la minaccia che incombe sugli equilibri e la tranquillità del protagonista, abituato a riconoscere il talento osservando anche i più piccoli e apparentemente trascurabili dettagli e ascoltando quei “rumori puri” che la palla colpita da una mazza o che ferma la sua corsa in un guantone possono regalare.

Di nuovo in gioco è una storia di sogni, alcuni ancora ricchi di speranza e altri infranti a fronte dei tanti inevitabili contraccolpi della vita e Lorenz – attraverso la sceneggiatura di Randy Brown – cerca di raccontare il coraggio e la determinazione che ogni giorno portano uomini e donne dalle storie e dai passati diversi a confrontarsi con le varie difficoltà: peccato che il film, assolutamente classico sia nella messinscena che nella scrittura, non riesca a trovare originalità e personalità nel suo sviluppo, limitandosi a un’efficace ma un po’ trita riproposizione di stilemi già mille volte riproposti al cinema e non solo.Nulla da eccepire sulle ottime prove del cast (il buon Clint, pur alle prese con l’ennesimo personaggio “simile”, si conferma all’altezza delle aspettative, così come non deludono la sempre brava Amy Adams e John Goodman), ma il film sembra arrotolarsi troppo presto in una serie di stereotipi sul sogno americano, la ricerca di riscatto dalle ingiustizie, la necessità di liberarsi dai cliché che ci si auto-impone per ritrovare e affermare la propria identità, che finiscono per rendere poco sorprendente e accattivante la pellicola. La regia è solida e ben calibrata, la scansione ritmica non troppo appesantita, la cura per i dettagli ben espressa senza manierismi, eppure Di nuovo in gioco non pare trovare la formula vincente per smarcarsi dalla linearità un po’ monotona che lo affligge, sia pure con la delicatezza di un ritratto familiare (il rapporto genitore/figlia in primis, ma anche la “famiglia” litigiosa e spietata del baseball) che lavora sull’emozione senza inseguire pedissequamente il patetismo.

Info
Il trailer di Di nuovo in gioco.
  • di-nuovo-in-gioco-2012-Robert-Lorenz-001.jpg
  • di-nuovo-in-gioco-2012-Robert-Lorenz-002.jpg
  • di-nuovo-in-gioco-2012-Robert-Lorenz-003.jpg
  • di-nuovo-in-gioco-2012-Robert-Lorenz-004.jpg
  • di-nuovo-in-gioco-2012-Robert-Lorenz-005.jpg
  • di-nuovo-in-gioco-2012-Robert-Lorenz-006.jpg
  • di-nuovo-in-gioco-2012-Robert-Lorenz-007.jpg
  • di-nuovo-in-gioco-2012-Robert-Lorenz-008.jpg
  • di-nuovo-in-gioco-2012-Robert-Lorenz-009.jpg
  • di-nuovo-in-gioco-2012-Robert-Lorenz-010.jpg
  • di-nuovo-in-gioco-2012-Robert-Lorenz-011.jpg
  • di-nuovo-in-gioco-2012-Robert-Lorenz-012.jpg
  • di-nuovo-in-gioco-2012-Robert-Lorenz-013.jpg

Articoli correlati

Array