The Gangster

The Gangster

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The Gangster non fa altro che accostare una sequenza di carneficina all’altra, senza soluzione di continuità, con l’azione che si fa via via sempre più frenetica, quasi ansiogena, rendendo Bangkok un terreno di battaglia infinito.

Fratelli coltelli

Nella Bangkok degli anni Cinquanta Jod decide di servire il suo boss senza mai metterlo in ombra nonostante sia assai più in gamba di lui. C’è un solo motivo che può indurlo a sfidarlo: chiedere di uccidere i suoi amici. [sinossi]

Nel 1997, quando la cosiddetta new wave thai era appena agli albori, furono due i film che iniziarono a ipotizzare una rivoluzione produttiva ed estetica dalle parti di Bangkok, Fun Bar Karaoke e Dang Bireley’s and the Young Gangsters. Il primo, esordio alla regia dell’allora giovane Pen-ek Ratanaruang (consacrato in seguito da fondamentali capolavori quali 6ixtynin9, Love Song – Monrak Transistor e Last Life in the Universe), venne accolto dalla critica locale con grida di giubilo, ma non riuscì a sfondare al botteghino. L’opera prima di Nonzee Nimibutr Dang Bireley’s and the Young Gangsters, invece, mise d’accordo tutti, giustificando a sua volta peana critici ma riuscendo a convincere anche gli spettatori che, decretandone il successo commerciale, di fatto agevolarono la rinascita del cinema thailandese. Una rinascita che deve la propria definitiva consacrazione sempre a Nimibutr, capace nel 1999 di concedere il bis con i clamorosi incassi di Nang nak, horror dal deflagrante umore romantico scritto da un altro nume tutelare del cinema thai, Wisit Sasanatieng (come regista ha firmato tra gli altri Le lacrime della tigre nera e Citizen Dog).
Anche per via dei corsi e ricorsi storici appena elencati, appare quantomai significativo che la nuova generazione di cineasti partoriti in seno all’industria del ex-Siam trovi una volta di più un punto di riferimento nelle figure dei gangster che misero a ferro e fuoco Bangkok negli anni Cinquanta e Sessanta per contendersi lo scettro di padroni (illegali) della città.

Se nel 1997 il film di Nimibutr concentrava la propria attenzione sulla figura di Dang Bireley, esegeta inconsapevole del detto punk “live fast, die young”, quindici anni dopo Kongkiat Khomsiri decide di lasciare l’aura mitica di Dang sullo sfondo – la morte del celebre criminale arriva quando il film non ha neanche raggiunto la metà – per mettere in piedi un discorso più corale che veda in Jod la vera figura di riferimento. In effetti la figura di Jod appare decisamente interessante, oltre che abbastanza fuori dagli schemi abituali: personaggio schivo, molto attaccato alla propria famiglia, Jod è un “buono” destinato suo malgrado a macchiarsi di omicidi e ruberie, immerso com’è fino al collo nella vita malavitosa della capitale thailandese. Ma il dettaglio più rimarchevole, quello che rende Jod alieno al contesto in cui si muove, è assai più prosaico: rispetto alla stragrande maggioranza dei suoi amici e dei suoi nemici, Jod è sopravvissuto alle vendette trasversali dell’epoca, per morire solo in anni recenti, oramai anziano.

A un primo sguardo disattento The Gangster può apparire perfettamente inserito nel solco del genere con il quale il regista ha deciso di confrontarsi: l’ambientazione anni Cinquanta, l’esecuzione dal barbiere – una sequenza che rimanda, inevitabilmente, allo strepitoso incipit di Dang Bireley’s and the Young Gangsters – i giovani scapestrati che vedono in Jod e Dang i loro miti e crescono con l’ambizione di imitarli, sono in effetti tutti punti fermi della prammatica di genere. Laddove però Khomsiri dimostra di avere una propria poetica a cui attingere, senza dover per forza scimmiottare il cinema del passato, è sia nella struttura narrativa che nelle singole scelte estetiche. Per lunghi tratti The Gangster non fa altro che accostare una sequenza di carneficina all’altra, senza soluzione di continuità: questa opzione da un lato produce un dinamismo ipercinetico, con l’azione che si fa via via sempre più frenetica, quasi ansiogena, e dall’altro profana l’epica rendendo Bangkok un terreno di battaglia infinito, mattatoio in cui un carnaio di innocenti e colpevoli finisce i propri giorni crivellato di colpi.

Dopotutto in The Gangster la morte è sempre inutile, mai risolutiva: per questo Khomsiri non si limita a renderla “cinematografica”, ma la getta di fronte agli occhi degli spettatori in tutta la sua cruda barbarie. Una scelta che fa il paio con quella di intervistare alcuni testimoni diretti dei fatti (non si era ancora accennato a questo ma il film, come anche quello di Nimibutr, è tratto da una storia vera) e di inserire i brandelli delle loro osservazioni tra un segmento di finzione e l’altro, ennesimo atto che depaupera e al contempo, senza che questo crei un paradosso, esalta l’epica della narrazione.

“Questo è un racconto di due ere, una dei coltelli e una delle pistole”, sentenzia uno degli anziani intervistati, e forse The Gangster è tutto qui. Ma basta assistere al crescendo finale per rendersi conto di trovarsi a tu per tu con uno dei nomi più interessanti del nuovo cinema thailandese (tra i precedenti lavori di Khomsiri assolutamente irrinunciabili Art of the Devil 2, firmato dal collettivo RONIN, il film di arti marziali Muay Thai Chaiya e lo slasher movie allucinato Slice) destinato a rinascere a nuova vita ancora una volta “grazie” ai suoi gangster del tempo che fu.

Info
Il trailer di The Gangster su Youtube.
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