Festival di Cannes 2013 – Presentazione
Rieccoci ai blocchi di partenza, travolti dal turbinio delle immagini, sovrastati dalla mole del Palais du Cinema, inevitabilmente affascinati da una kermesse che sembra sospesa nel tempo e nello spazio. Il Festival di Cannes 2013, dal 15 al 26 maggio.
La Croisette è un luogo altro, almeno per una dozzina di giorni. È una dimensione parallela, splendente, aliena alla crisi, alla grigia quotidianità, alle polemiche provinciali del cinema italiano e dei festival del Bel Paese.
A Roma si polemizza anche per un refolo di vento, si contestano film senza averli visti, ci si accanisce sulla differenza tra festa e festival. A Venezia ci si diverte con battute sui film cinesi, si promettono nuove sale e ci si ritrova con colate di cemento, imbarazzanti tappabuchi. A Torino si susseguono gli autogol, rischiando di mandare all’aria anni e anni di pregevole lavoro. Ecco, il Festival di Cannes 2013 ci rapisce e ci porta via. Cannes è una tregua, un po’ come Berlino o Rotterdam. Oasi felici. Cinema, cinema e ancora cinema, mentre il resto è contorno.
Lo schermo e il buio della sala, nonostante un mastodontico carrozzone, restano il centro gravitazionale di Cannes. Il glamour si genera dalla pellicola, per poi invadere la Croisette, le pagine dei giornali, i servizi delle televisioni. La folla si accalca in cerca di uno scatto, di un ricordo, ma l’essenza del festival è ancora la Settima Arte, il miracolo delle immagini in movimento: Cannes è Polanski (La Vénus à la fourrure), è Soderbergh (Behind the Candelabra), è Sorrentino (La grande bellezza), è Jarmusch (Only Lovers Left Alive). Ma è anche Farhadi (Le Passé), Miike (Shield Of Straw), Haroun (Grigris), Diaz (Norte, The End Of History) e Kore-eda (Like Father, Like Son). Cannes è ovviamente il trionfo del cinema transalpino, da Ozon (Jeune & Jolie) a Desplechin (Jimmy P.), da Kechiche (La vie d’Adèle) alla nostra Valeria Bruni Tedeschi (Un château en Italie).
Sulla Croisette sfilano i Maestri di oggi (e di ieri) e i talenti di domani. Tutti potranno trovare il loro capolavoro, una conferma o una sopresa, un cavallo vincente al botteghino o una pellicola destinata a pochi, festivaliera per sempre. E se la Palma d’oro ha già i suoi favoriti, nell’interminabile gioco della previsioni smentite, due film sembrano incarnare al meglio il mito di Cannes: la mirabolante apertura, The Great Gatsby di Baz Luhrmann, bigger than life per vocazione, e Only God Forgives di Nicolas Winding Refn, già cult movie, già tutto e il contrario di tutto, tra osanna e de profundis. Sarà comunque una festa [1].
Pronti all’indigestione, all’overdose di fotogrammi, ci avventuriamo tra concorso e fuori concorso, Un Certain Regard e Quinzaine des Réalisateurs, Semaine de la Critique e Cannes Classic. Vedremo molti film, ne perderemo altrettanti. Daremo un’occhiata al Mercato, altra creatura mastodontica e imprescindibile, invasa da produttori e distributori, registi e attori, selezionatori di festival e tutto quel che segue. Vivremo il Festival di Cannes 2013 tutto d’un fiato, a occhi sbarrati, voracemente incollati allo schermo. Perché Cannes è Manila In The Claws Of Light di Lino Brocka, è L’ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci, è Les parapluies de Cherbourg di Jacques Demy, è La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock. Perché Cannes è il cinema di ieri, di oggi e di domani.
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