Locke
di Steven Knight
Sceneggiatore de La promessa dell’assassino, Steven Knight mette in piedi, per il suo secondo film, Locke, una appassionante sfida narrativa e recitativa con Tom Hardy assoluto protagonista.
Ivan Locke è un gran lavoratore e un ottimo marito e padre di famiglia. Ma nella sua vita ha commesso un errore. Nel corso di una notte e attraverso un lungo tragitto in auto, dovrà porvi rimedio sostanzialmente rinunciando a tutto quel che aveva costruito nel corso degli anni. [sinossi]
Tom Hardy è probabilmente il miglior attore inglese della sua generazione. Nato nel 1977, ha già inanellato una serie di ruoli memorabili in cui forse eccellono Bronson (2008) e Il cavaliere oscuro – Il ritorno (2012). A questi titoli da adesso in poi andrà aggiunto anche Locke, in virtù di una recitazione che – al contrario dei due film citati, basati su tonalità diverse di grottesco ed eccesso – è giocata sulla misura e sul controllo, sui mezzi toni e il realismo. Peccato però che Hardy non potrà competere qui al Lido per la Coppa Volpi, perché Locke è stato inspiegabilmente inserito fuori concorso.
In effetti, rimanendo in ambito britannico, vien voglia di domandarsi per quale motivo due autori celebrati come Stephen Frears e Terry Gilliam, che hanno portato qui al Lido tutt’altro che i loro migliori film, siano in competizione per il Leone d’Oro pur non avendo bisogno di ulteriori celebrazioni della loro carriera, mentre il poco noto Steven Knight, che con Locke ha realizzato il suo secondo film, viene relegato nella sezione fuori concorso, proprio lo spazio che al contrario dovrebbe essere di competenza di quegli autori già noti e stimati (e il resto del fuori concorso conferma questa lettura: Scola, Wajda, Schrader, ecc.; dunque Locke rappresenta una singolare eccezione).
Knight, tra l’atro, vanta una apprezzata carriera come sceneggiatore – da Piccoli affari sporchi dello stesso Stephen Frears a La promessa dell’assassino di David Cronenberg -, caratteristica che emerge in modo cristallino in Locke, vero prodigio di scrittura che fa sì che Hardy sia in scena dall’inizio alla fine del film, sempre seduto in macchina, e in cui gli unici contatti con l’esterno gli arrivano dalle continue telefonate con la moglie, i figli, l’amante, il capo, il suo braccio destro, ecc.
Implacabile e avvincente sfida tecnico-narrativa, Locke lascia emergere pian piano le conflittualità, gli obiettivi e i tradimenti, non cedendo mai alla tentazione di essere didascalico o manicheo e lanciando il suo affondo emotivo proprio nel crescendo finale, un momento in cui non si può fare a meno di commuoversi.
Si tratta certo di un film virtuosistico e anche coraggioso, un solidissimo film di genere privo di presunzioni autoriali (forse per questo è stato tenuto fuori concorso? Ma allora che dire di Parkland?), dove tutto funziona e tutto è al posto giusto, compresa la regia che – utilizzando il digitale quasi alla Michael Mann di Collateral – esalta lo sfondo acido e volutamente respingente delle luci autostradali e che gioca con convinzione ed efficacia anche sulla figura della sovrimpressione (tra il volto di Hardy e le luci e la segnaletica), una soluzione sempre meno usata nel cinema contemporaneo e con cui Knight, anche rischiando, invece di cadere nella poeticità forzata, rafforza la sensazione di straniamento del suo protagonista.
Apprezzabile inoltre anche la mappatura simbolica del film: Hardy/Locke è impiegato in una società di costruzioni e il suo incarico principale è quello di usare il calcestruzzo per costruire le fondamenta di palazzi e grattacieli. Radicato nella terra, Locke è dunque ancora più spiazzato dal trovarsi in continuo movimento sopra una macchina, distante dal suo elemento naturale e professionale. Inoltre, le fondamenta servono a tenere in piedi tutto il resto, servono in qualche modo a controllare ciò che viene costruito sopra di loro, lo limitano e lo regolano. Allo stesso modo, il protagonista è ossessionato dal controllo, dal calcolo delle probabilità – non solo calcolo ossessivo sulla possibile riuscita di una colata di calcestruzzo, ma anche sulla possibile reazione delle persone a lui care. E, non a caso, Locke tende a dirigere quasi come un burattinaio le persone con cui si sente al telefono, dalla moglie al capo al braccio destro. Ma, proprio perché ormai sradicato dalla terra, l’eroe è destinato alla sconfitta o, forse, a una mezza vittoria, o forse ancora al vero atto liberatorio ed eccentrico della sua esistenza, la nascita di un figlio nato da una relazione extraconiugale. Ed è forse questo che, indirettamente, manca al secondo film di Knight (il primo, Redemption, uscirà in sala a fine settembre): l’ossessione per il controllo della tecnica è la stessa del suo protagonista e dunque alla fine si sente forse il desiderio di una qualche effrazione del codice, di un improvviso per quanto ristretto deragliamento.
Ma, allora, chissà si sarebbe dovuto perfino gridare al capolavoro…
Info
Il sito della IM Global, casa di produzione di Locke.
- Genere: drammatico
- Titolo originale: Locke
- Paese/Anno: GB, USA | 2013
- Regia: Steven Knight
- Sceneggiatura: Steven Knight
- Fotografia: Haris Zambarloukos
- Montaggio: Justine Wright
- Interpreti: Andrew Scott, Ben Daniels, Bill Milner, Danny Webb, Olivia Colman, Ruth Wilson, Tom Hardy, Tom Holland
- Colonna sonora: Dickon Hinchliffe
- Produzione: IM Global, Shoebox Films
- Distribuzione: Good Films
- Durata: 90'
- Data di uscita: 30/04/2014