Torino 2013 – Presentazione
Giunto alla trentunesima edizione il festival piemontese, che si affida per la prima volta al regista Paolo Virzì, prova a confermare una tradizione nobilmente cinefila.
Ormai stanchi di polemiche che improvvisamente tornano in campo, anche quando sembravano sopite – l’ultima, dopo diversi mesi di tregua, è stata l’uscita infelice di Virzì sui soldi pubblici che sarebbero serviti a far venire Scarlett Johansson a Roma -, polemiche che ruotano sempre intorno alla competizione tra la triade Venezia-Torino-Roma, finalmente ci si può (e ci si deve) concentrare sui film, con la 31esima edizione del Torino Film Festival ai blocchi di partenza (22-30 novembre), e secondariamente si dovrà riflettere sulle varie politiche festivaliere e cioè su quanto iniziative siffatte possano dare un po’ di vivacità a un panorama culturale sempre più grigio e vacuo, almeno in Italia. Se Roma sta finalmente trovando una sua identità, grazie al contributo di Marco Müller, se Venezia appare al momento chiusa in una formula un po’ imbalsamata, è Torino attualmente il festival che sembra avere una prospettiva più fluida e cangiante. Soprattutto, ovviamente, in relazione alla presenza di un nuovo direttore, quel Paolo Virzì che, succedendo a Gianni Amelio, nella conferenza stampa tenutasi lo scorso 5 novembre ha tenuto a dire che, molto umilmente, farà di tutto per non rovinare la tradizione cinefila del festival.
Sono un po’ rientrate in effetti le promesse iniziali del neo-direttore di puntare decisamente su una prospettiva pop – anche perché di pop e di sguardi di superficie sul presente ce ne sono sin troppi -, anche se qualcosa è rimasto: una ancora non meglio precisata accoglienza per registi e ospiti che saranno introdotti in sala da bande musicali e circensi e una sottosezione del fuori concorso, Europop, in cui si mostreranno alcuni titoli di successo europei – solo quattro – con in più un esordio alla regia italiano, quello di Claudio Amendola con La mossa del pinguino, che il suo percorso in sala ancora lo deve fare. La presenza di Virzì, seguendo lo schema inaugurato da Moretti e poi proseguito da Amelio, permetterà anche un dialogo con alcuni registi italiani, da Francesca Archibugi a Antonietta De Lillo, che presenteranno i loro nuovi documentari, a Francesco Bruni, Alba Rohrwacher e Gianni Zanasi che parleranno in anteprima dei film cui stanno lavorando.
Il resto del programma sembra essere rimasto nel solco della tradizione, più o meno recente, per una ricchezza di titoli davvero travolgente. Ma in un festival che ragiona molto per sezioni non si può che partire da quelle per capire come si articola il programma: il concorso Torino 31, tradizionalmente riservato ad autori all’opera prima, seconda e terza e con titoli da sottolineare a penna come La bataille de Solferino di Justine Triet; il fuori concorso che ha mantenuto il nome di Festa mobile con titoli che vengono da Cannes, Berlino e Telluride e che si preannunciano già come le proiezioni più affollate, da Frances Ha di Noah Baumbach, a Inside Llewyn Davis dei fratelli Coen fino a Only Lovers Left Alive di Jim Jarmusch; le neonata sezione After Hours (che va a sostituire Rapporto confidenziale) ed è una sorta di versione aggiornata delle proiezioni di mezzanotte con titoli che ispirano curiosità come gli horror Canìbal di Manuel Martín Cuenca e The Conspiracy di Christopher MacBride, il western Sweetwater di Logan Miller, ma soprattutto Computer Chess, commedia surreale diretta Andrew Bujalski, uno dei maggiori esponenti dell’indie americano di stanza ad Austin.
Un arcipelago, quello del fuori concorso, che è curato in primis dal vice-direttore Emanuela Martini – al suo posto dal 2007, quando affiancò Nanni Moretti – e che conferma una attenzione particolare per il cinema americano, con un grande omaggio alla New Hollywood, per un focus che sarà spalmato su due anni e che per questa edizione avrà in cartellone ben 36 titoli, da Cinque pezzi facili a L’ultimo spettacolo.
Eppure finora abbiamo compulsato solo una parte del programma, perché restano ancora TFFdoc e Onde, le due macro-sezioni più eccentriche, curate rispettivamente da Davide Oberto e da Massimo Causo, lo spazio che tende in maniera più precisa e netta in direzione della ricerca di nuovi linguaggi e di forme di cinema non irregimentate. Non a caso, quasi a fare da nume tutelare della sezione TFFdoc c’è Anna di Alberto Grifi e Massimo Sarchielli, presentato in versione “espansa”, 780 minuti di materiale che permetteranno di restituire pienamente il senso ultimo dell’accumulo di un’operazione che è diventato il gesto iconico dello sperimentalismo anni ’70. Altri titoli da non perdere di questa sezione sono Les dernier des injustes di Claude Lanzmann e L’image manquante di Rithy Pahn, a fianco degli spazi competitivi: internazionale.doc (con i nuovi film di Joaquim Pinto, Roberto Minervini, Ben Rivers e Ben Russell) e italiana.doc, centro nevralgico ormai da anni di quanto di meglio venga prodotto in Italia nel mondo del documentario (e in tal senso si dovrà guardare con molta attenzione a questa sezione, dopo la vittoria veneziana di Sacro GRA).
Non sembra essere da meno Onde in quanto a ricchezza e interesse delle proposte: su tutti il nuovo film di Albert Serra, Història de la meva mort e la retrospettiva dedicata a Yu Likwai, regista hongkonghese e direttore della fotografia di Jia Zhangke, un omaggio indispensabile per meglio mappare i legami cinematografici tra Hong Kong e la Cina continentale e che permette di dare uno sguardo anche all’Estremo Oriente, generalmente un po’ trascurato negli ultimi anni qui a Torino. Senza dimenticare, sempre in Onde, il focus dedicato al cinema portoghese – la cui vitalità a fronte di una disperata crisi istituzionale è sempre più sorprendente – e almeno un altro titolo da tenere sott’occhio: La ùltima película di Raya Martin e Mark Peranson.
Una selezione quella di quest’anno che conta la bellezza di 185 titoli e forse l’unico difetto può essere trovato in una programmazione ipertrofica e in un eccesso di direzioni possibili del festival. Ma la cinefilia si sa, non si appaga mai ed è probabilmente anche in questo che il Torino Film Festival può e deve mantenere un primato rispetto alle altre manifestazioni cinematografiche italiane. Primo festival metropolitano ad essere stato fondato in Italia, il TFF mantiene fortunatamente il suo stretto legame con il capoluogo piemontese, potendo contare su un pubblico esigente e numeroso e su una capillare presenza di grandi sale cittadine, strategicamente situate al centro della città, che Roma continuerà vanamente ad invidiare. Se poi la proposta culturale della 31esima edizione del Festival di Torino sarà all’altezza delle aspettative sarà possibile scoprirlo a breve, non appena ci si immergerà nei ricchi meandri della selezione.