Vijay, il mio amico indiano

Vijay, il mio amico indiano

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Torna il regista di Irina Palm Sam Garbarski con Vijay, il mio amico indiano una commedia romantica ricca di spunti pirandelliani e cliché interrazziali, ma dal ritmo piuttosto lasco.

Cara, sono morto

L’attore fallito Will Wilder è un po’ depresso perché sembra proprio che la sua famiglia e gli amici si siano dimenticati del suo 40° compleanno. Quando la sua macchina – appena rubata – viene ritrovata distrutta dopo un terribile incidente, decide di realizzare un suo vecchio desiderio e presentarsi al proprio funerale, sotto mentite spoglie: quelle di Vijay Singh, un distinto e galante Sikh, completo di barba e turbante. [sinossi]

“Si potrebbe andare tutti quanti al tuo funerale (…) per vedere se la gente poi piange davvero”, così cantava Enzo Jannacci in Vengo anch’io. No, tu no, nel lontano 1967. Ed è più o meno questa l’idea alla base di Vijay, il mio amico indiano di Sam Garbarski. Certo, si tratta di uno spunto già sulla carta un po’ meno allettante di quello su cui si fondava il grazioso Irina Palm, l’unica altra pellicola di Garbarski (il successivo Quartier Lointain non è stato purtroppo distribuito) giunta dalle nostre parti e piuttosto abile nel mantenere il suo ironico aplomb mentre raccontava della magica manualità a sfondo onanistico di una gentile signora di mezza età, incarnata nientemeno che da Marianne Faithfull.
Protagonista questa volta è il divo teutonico Moritz Bleibtreu, nei panni di Will, eterna promessa attoriale residente a New York con moglie (Patricia Arquette) e figlia adolescente, noto ai più per impersonare, con tanto di ingombrante costume in gommapiuma, il verde coniglietto sfortunato di un programma tv per bambini. Proprio nel giorno del suo quarantesimo compleanno, Will, credendo che famiglia e amici si siano dimenticati di festeggiarlo (in realtà hanno organizzato sin troppo bene un party a sorpresa), si dà alla fuga sulla sua utilitaria. Quando il veicolo gli viene rubato e ritrovato ore più tardi in preda alle fiamme, l’infelice festeggiato decide di cogliere la palla al balzo e lasciare che tutti lo credano morto. Potrà così realizzare il sogno della sua vita: recarsi al proprio funerale. Per attuare questo diabolico e in gran parte anche crudele piano d’azione, Will si trasforma, con l’aiuto dell’amico ristoratore indiano Rad (Danny Pudi), in Vijay Singh, un aitante e canuto sikh, munito di turbante e dotato di un’ars amandi che il povero Will, a detta della moglie, non ha mai posseduto.

È proprio sul versante amoroso che si dirige prontamente la pellicola di Garbarski, con una lunga seduzione che vedrà Will/Vijay concupire la propria stessa vedova, tra numerosi siparietti basati sulla differenza culturale, che riguardano noti stereotipi sugli indiani come la galanteria un po’ d’antan, l’abuso di patchouli, il desinare senza posate, la pratica del sesso tantrico e l’altrettanto rinomata e speziata arte culinaria.
Commedia romantica estremamente garbata ma dallo sviluppo convenzionale, Vijay, il mio amico indiano, già presentata al Festival di Locarno nella sezione Piazza Grande, risulta però piuttosto carente sul versante comico, dove le gag più fisiche, forse a causa anche dell’abuso di make up, risultano piuttosto imbalsamate e finiscono per mancare di originalità e di verve, mentre le sequenze di dialogo appaiono a tratti esageratamente lunghe e i discorsi in ballo tutto sommato meramente accessori. Un torpore diffuso caratterizza dunque le varie sequenze, dirette dal regista belga con scarsa fantasia e uno stile prettamente frontale, che irrigidisce gli interpreti in una recitazione meccanica, rinvigorita qua e là da alcuni spunti teorici sul ruolo dell’attore e il suo ineludibile sdoppiamento, di pirandelliana memoria, così come l’idea di partenza, emula del celeberrimo Il fu Mattia Pascal.
Il solitamente apprezzabile Moritz Bleibtreu non riesce proprio a convincere, né sotto le sembianze del coniglietto sfortunato né tantomeno nei panni ben più sobri del distinto Sikh. Troppo crudele appare infatti il suo gioco, sia nei confronti di moglie e figlioletta che, e ancora di più, verso i poveri genitori, entrambi presenti al suo funerale e incarnati da Michael Gwisdek e una Hanna Shygulla in versione frikkettona. Manca inoltre un tangibile affiatamento tra Bleibtreu e la sua controparte femminile, interpretata da Patricia Arquette, che riesce ad assestare qualche scossone solo quando perde le staffe.
Al suo quarto lungometraggio, Garbarski dunque non convince, ma forse questa commedia rosa dalle tematiche vagamente interculturali, non era proprio nelle sue corde.

INFO
Vijay, il mio amico indiano sul sito della casa di distribuzione Officine UBU.
La pagina facebook di Vijay.
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