Is the Man Who Is Tall Happy?

Is the Man Who Is Tall Happy?

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In Is the Man Who Is Tall Happy? Michel Gondry intervista Noam Chomsky, parlando di filosofia, biologia, cultura e politica. Dalla Berlinale 2014 al Rendez-Vous con il cinema francese…

Language and Mind

Attraverso illustrazioni, fantasiose tecniche d’animazione e riprese in 16mm, Gondry anima una conversazione con Noam Chomsky, professore del MIT, libero pensatore e padre della linguistica moderna. Gondry “entra” nella testa di Chomsky per un ritratto intimo e filosofico, un dialogo tra parole e disegni che indaga il senso della vita, quel bisogno tutto umano di soddisfare l’eterna e infantile domanda di felicità. [sinossi]

Mentre un universo sempre più indistinto e impersonale di voci altisonanti sul cinema disserta senza alcuna verve e profondità sul reale, rinverdendo diatribe mai sopite e oramai sclerotizzate nel tempo (e nel senso), un artista francese cinquantenne se ne va dall’altra parte dell’oceano per filmare alcuni incontri con uno dei grandi pensatori del Ventesimo Secolo. Questi appuntamenti sono ripresi con una Bolex 16mm, e quindi tutti i dialoghi sono inevitabilmente accompagnati dal caratteristico ronzio prodotto dalla meccanica durante l’impressione della pellicola. Le immagini degli incontri non sono però mostrate al pubblico, se non in una percentuale a dir poco miserrima – che Michel Gondry calcola intorno al 2% del totale –, perché come avrete avuto modo di leggere probabilmente ovunque Is the Man Who Is Tall Happy? è un film d’animazione, lavorato da Gondry su fogli lucidi da acetato. Disegni che non seguono in maniera pedissequa le parole che nel frattempo prendono corpo e senso nell’incontro con Chomsky, ma si muovono piuttosto in maniera libera, assecondando ossessioni e associazioni di idee del regista, tracciando una nuova linea di demarcazione tra oggettivo e soggettivo, in un percorso di completa e continua scomposizione e ricomposizione del significato e del linguaggio che in qualche modo può riportare alla mente – fatte le dovute distinzioni sull’operazione e sui concetti che vuole trattare – il rotoscope utilizzato in Waking Life di Richard Linklater, gioiello sottostimato e criminosamente rimosso dalle menti cinefile.

Al di là delle infinite speculazioni che possono essere generate dalla visione di Is the Man Who is Tall Happy?, appare realmente ingiusto doversi attenere a definizioni “semplici” ed eccessivamente irregimentate come “documentario” e “animazione”. Per quanto lo scopo, o meglio uno degli scopi, di Gondry sia senz’ombra di dubbio quello di confrontarsi con il pensiero di Chomsky per penetrarlo e allo stesso tempo riuscire a far emergere l’umanità privata alle spalle del filosofo – una tecnica che, a ben vedere, non si discosta di un millimetro dalla poetica del regista, da sempre interessato a mettere in scena la turbolenta relazione tra l’intimità dei propri personaggi e il mondo che li circonda – Is the Man Who Is Tall Happy? è anche e soprattutto l’ennesimo tassello di un cineasta da sempre interessato a creare nuovi condotti d’aria per l’immagine intesa come veicolo principale e universale del linguaggio.
Ed è proprio sulla concezione di linguaggio, e di comunicazione tra sé/con gli altri, che indagano gran parte dei dialoghi tra Gondry e Chomsky, in un incontro di pensieri appassionato e di quando in quando destabilizzato dall’impossibilità della comprensione, visto l’inglese fortemente francofono parlato da Gondry e l’utilizzo non sempre corretto della terminologia filosofica. Di questi passaggi a vuoto Is the Man Who Is Tall Happy? fa una costante, da un lato per soddisfare l’indole sanamente autoironica di Gondry, ma dall’altro anche per palesare ulteriormente il ruolo primario dell’immagine nella costruzione di un dialogo che sia fortemente interculturale senza che ne sia compromessa la complessità. Quando Gondry non riesce a farsi comprendere da Chomsky, l’unica via d’uscita che ha per cavarsi d’impaccio da una situazione imbarazzante è quella di mostrargli la domanda che aveva intenzione di porgli sotto forma di animazione, aggirando e scalfendo una volta di più l’idea della parola come punto d’incontro unico – o quantomeno preferibile – della dialettica.

Se per Tristan Tzara “la pensée se fait dans la bouche”, per Gondry il pensiero si fa negli occhi perché l’immagine è già il primo pensiero (non a caso una delle prime riflessioni del regista durante l’incontro con Chomsky nasce dalla curiosità sulla capacità dei bambini di riconoscere un elemento “reale” dopo averlo già visto sotto forma di immagine), la base di partenza, il codice genetico condiviso da tutta l’umanità, senza eccezione alcuna.
I punti di vista di Chomsky e Gondry si incrociano, si scontrano, si allontanano per avvicinarsi nuovamente da una diversa ottica, in un gioco di prospettive ideali che è già, in nuce, costruzione di un immaginario (im)possibile: in mezzo a tutto questo, emerge con forza l’uomo-Chomsky, le sue fragilità – l’incapacità di parlare della morte della moglie, l’orgogliosa dolcezza con cui ricorda i percorsi intrapresi dai figli –, i suoi amori e le sue memorie d’infanzia. Perché al di là di ogni possibile lettura, l’opera di Gondry è da sempre furiosamente umanista, centrata sul dolore e la gioia dell’esistenza, che si tratti di una scolaresca su un bus, di un supereroe, dei dipendenti di una piccola e pulciosa videoteca, di un giovane sognatore parigino, di due innamorati che vogliono imparare a dimenticarsi l’uno dell’altra, o di uno dei filosofi più coraggiosi e indipendenti vissuti nel corso dell’ultimo secolo.

Is the Man Who Is Tall Happy? non fa che sottolineare questo aspetto cruciale della poetica di Gondry, avvolgendolo a un lato nella logica del dibattito inestinguibile sulla costruzione del linguaggio, e dall’altro nella stupefacente anarchia dell’immagine, scoprendo che le differenze sono in fin dei conti infinitesimali. Perché il linguaggio è immagine prima dell’immagine, e l’immagine è linguaggio anche senza linguaggio.

Info
Is the Man Who Is Tall Happy?, il trailer
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