Far East 2014 – Presentazione
La sedicesima edizione del festival che Udine dedica al cinema dell’estremo oriente. Il Far East 2014: otto giorni alla scoperta di meraviglie troppo spesso nascoste agli occhi dei cinefili.
Anche nel microcosmo cinefilo esistono luoghi che, come le vaghe stelle dell’Orsa di leopardiana memoria, viene naturale ritrovare ciclicamente, per poterle contemplare con occhi sempre nuovi eppur carichi di affetto. Il Far East Film Festival di Udine, primo e principale evento mondiale dedicato interamente alla cultura popolare asiatica, rientra di diritto tra le tappe indispensabili di qualsivoglia pellegrino della Settima Arte: da quando nacque, sotto le spoglie di Hong Kong Film Festival, nell’oramai lontano 1998 (c’erano ancora la lira, Bill Clinton, l’Udinese lottava per non retrocedere… Insomma, altri tempi, non necessariamente migliori), il Far East ha avuto il merito, l’intelligenza e, perché no, anche la fortuna di scavare un solco nell’immaginario collettivo delle (piccole) falangi che ancora vivono il rapporto con il cinema con un misto di febbrile eccitazione e smisurata passione. Mancava al mondo un Far East, e il lavoro del CEC, capitanato ovviamente da Sabrina Baracetti e Thomas Bertacche, ha provveduto a riempire l’assenza con una settimana di fuochi pirotecnici ai quali è sempre difficile, se non vano, tentare di opporre resistenza.
Il Far East non è “solo” l’occasione per imbattersi in qualche ottimo film – e questa sedicesima edizione già promette molto in tal senso, vista la presenza di titoli irrinunciabili come Black Coal, Thin Ice, The Midnight After, Fuku-chan of Fukufuku Flats, tanto per citarne alcuni –, perché in un’epoca in cui la fruizione dei materiali e il loro recupero è sempre più facilitata dalle nuove tecnologie questo dettaglio, seppur essenziale, rischia di veder perdere parte del proprio valore. Il Far East permette al popolo udinese – e alle frotte che raggiungono la cittadina friulana durante il festival, muovendosi da ogni parte d’Italia e del mondo – di confrontarsi con un universo che troppo spesso per pigrizia, ignoranza o squallidi tornaconti politici, viene considerato “troppo distante” da noi, “incomprensibile”, tutt’al più ricevendo la gratifica di “esotico”.
Il Far East è ancora visto da molti (troppi) come la perfetta immagine speculare del Far West, wilderness dagli occhi a mandorla che si può visitare solo consapevoli di rischiare pericoli e agguati a ogni guado, a ogni svolta cieca. Ed è qui che la kermesse udinese svolge il suo ruolo di primaria importanza: in sedici anni di sogni, incubi, drammi, favole e commedie, il Far East ha raccontato sì l’eccentricità delle cinematografie orientali, ma anche la loro quotidianità, la loro assoluta normalità, la loro capacità di essere intellegibili anche al più ottuso, svogliato o in malafede degli spettatori. Aver reso registi come Dante Lam, Tetsuya Nakashima, Takashi Miike, Pang Ho-cheung, Chito S. Roño, Banjong Pisanthanakun pane quotidiano per il pubblico del Teatro Nuovo Giovanni da Udine è forse la più grande vittoria del Far East.
Un festival che ora, a sedici anni compiuti, nel cuore dell’adolescenza, ha anche la possibilità di allargare ulteriormente i propri orizzonti: già il successo sempre crescente della Tucker Film aveva ampliato le possibilità di movimento del cinema presentato nel corso del tempo al festival (sia per quel che concerne la distribuzione in sala e in home video, sia per l’accordo siglato con Rai4, che inserisce in palinsesto uno o due film asiatici a settimana), e ora si aggiungono anche i primi film in cui la Tucker, e i loro fondatori, risultano nelle vesti di produttori esecutivi.
Un passo ulteriore, forse quello definitivo, verso l’annullamento delle distanze (geografiche e culturali) che proiettano nelle menti di molti italiani un’idea distorta di “estremo oriente”. In attesa di aprire gli occhi meravigliati di fronte alle nuove perle che la sedicesima edizione del Far East ci regalerà, si tratta già di una grande, enorme conquista.
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