Brick Mansion

Brick Mansion

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Camille Delamarre con Brick Mansion dirige il remake nordamericano di Banlieue 13, uno degli action francesi di maggior successo, che dieci anni fa portò alla ribalta il fenomeno del parkour. Uno degli ultimi ruoli per Paul Walker prima della morte.

La bomba nel quartiere

In una Detroit in mano al crimine, le fatiscenti case con mattoni a vista della città sono occupate dai peggiori criminali della zona. Incapace di tenere a bada il crimine, la polizia ha eretto delle mura per contenere i criminali in quest’area e proteggere il resto della città. Per il poliziotto sotto copertura Damien Collier ogni giorno è una lotta contro la corruzione; per Lino ogni giorno è una lotta per vivere una vita onesta. Le loro strade non si sarebbero mai dovute incontrare, ma quando il re della droga di Detroit Tremaine Alexander rapisce la fidanzata di Lino, Damien accetta con riluttanza l’aiuto del coraggioso ex-galeotto. Insieme dovranno sventare un sinistro piano che potrebbe distruggere l’intera città… [sinossi]

In principio fu il parkour, la disciplina fisica che prevede il superamento di ogni ostacolo che si trova sul cammino con l’adattamento del proprio corpo all’ambiente circostante, e che fu creata durante gli anni Novanta da un gruppo di atleti francesi, tra cui David Belle e Hubert Koundé, già noto all’epoca per il suo ruolo da protagonista in un paio di film di Mathieu Kassovitz (Métisse e soprattutto L’odio).
In principio fu Banlieue 13, primo action a sfruttare il fenomeno del parkour, diretto da Pierre Morel nel 2004 sotto l’egida di Luc Besson e interpretato proprio da David Belle insieme all’esperto di Shotokan, Taekwondo e Wushu Cyril Raffaelli. Un successo di botteghino così fragoroso in patria da costringere la produzione ad allestire un sequel, Banlieue 13 Ultimatum, nel 2009.
In principio fu Distretto 13 – Le brigate della morte, opera seconda di John Carpenter dopo l’esordio Dark Star, e primo film a sintetizzare al proprio interno alcune delle ossessioni più durature del suo cinema. Un’opera di fondamentale importanza nello sviluppo dell’action metropolitano, e a cui Banlieue 13 occhieggia ripetutamente, e non solo per il riferimento insito nel titolo.

Il gioco del “in principio fu” potrebbe continuare all’infinito, riallacciando Distretto 13 al massimo riferimento per il cinema carpenteriano, Un dollaro d’onore di Howard Hawks, in cui il mito western della wilderness si confronta con una messa in scena inevitabilmente claustrofobica, ma in realtà Banlieue 13 ha potuto vivere e prosperare grazie ai germi del film del 1976, senza necessità di spingersi ancora indietro nel tempo. E ora che la storia dell’abitante della banlieu Leïto e del suo amico/nemico Damien Tomaso varca l’oceano per diventare in Brick Mansion quella del francese emigrato a Detroit Lino Dupree e del poliziotto Damien Collier, alle prese con le gang – e la polizia – di Brick Mansion, non-luogo di una Detroit distopica, in cui la feccia della popolazione è stata rinchiusa in un quartiere che funge anche da prigione (e le memorie di Carpenter tornano a prendere forma, nella Manhattan di 1997 – Fuga da New York), il rimando risulta ancora più evidente.
Un’eredità difficile da maneggiare, come lo era già per Banlieue 13, e che si limita a riproporre con fedeltà degna di una decalcomania pregi e difetti dell’originale del 2004. Con Brick Mansion Camille Delamarre (al primo lungometraggio da regista dopo una carriera piuttosto solida nelle vesti di montatore) non fa compiere mai un passo in avanti al genere, ma si muove solo lateralmente, affidandosi alle gesta fisiche dei suoi protagonisti e confidando nella mancanza di ambizioni artistiche di buona parte del pubblico adolescenziale che potrebbe lasciarsi affascinare da una storia così adrenalinica.

Per di più viene meno, rispetto a Banlieue 13, anche la pellicola labilmente politica che lo ricopriva: ambientare un film in una Parigi che ha edificato un ghetto in piena regola acquistava anche un sapore tutt’altro che distopico, visti i problemi che la capitale francese ha sempre dovuto affrontare con la popolazione di seconda e terza generazione, tenuta il più lontano possibile dal cuore della cité e relegata in quartieri secondo una logica puramente classista. Un discorso che non può valere per Brick Mansion, per quanto Detroit stia vivendo una crisi così profonda da far ipotizzare un suo completo abbandono da qui a qualche anno – in tal senso si veda il discorso affrontato da Jim Jarmusch nel suo Only Lovers Left Alive.
Rimangono dunque solo l’azione fine a se stessa, neanche così varia e divertente da irretire lo sguardo dello spettatore, e il mesto ricordo di Paul Walker, qui in una delle sue ultime interpretazioni prima dell’incidente stradale in cui ha trovato la morte lo scorso novembre, a quarant’anni. Ma, lutto a parte, è comunque troppo poco.

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