Scheherazade’s Diary

Scheherazade’s Diary

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Dopo i due premi al Dubai International Film Festival 2013 l’ultimo lavoro della Daccache, Scheherazade’s Diary, arriva in concorso alla 24. edizione del Festival del Cinema Africano, d’Asia e d’America Latina.

Essere donna oggi

Dopo un laboratorio durato 10 mesi realizzato nel corso del 2012 nella prigione di Baabda a Beirut, un gruppo di donne incarcerate mette in scena in carcere la pièce Scheheraze in Baabda. É per loro l’occasione, splendida e difficile, di raccontare le storie di violenza e discriminazione subite, i motivi che le hanno portate a scontare pene spesso lunghissime, e di comporre attraverso il teatro prima e il cinema poi, il ritratto di una società. [sinossi]

«Tutte le società sono difficili». È da questa considerazione della regista, Zeina Daccache, che vogliamo partire perché non c’è vittimismo né in chi ha realizzato questo film né nelle donne intervistate. Il nostro occhio, occidentale, talvolta si estranea e auto-assolve da una cultura che avverte lontana e, senza ombra di dubbio, ci sono delle sostanziali differenze; eppure, ascoltando le testimonianze di un gruppo di donne della prigione di Baabda (Beirut), molti fatti, alcune emozioni ci suonano famigliari se pensiamo alle cronache italiane.

«Che bello vedere il verde. Ho una lattina e sto bevendo»: sono pensieri per noi scontati, ma lo stupore con cui Fatima le pronuncia e la discrezione con cui la macchina da presa ci restituisce momenti così spontanei, ci fanno riflettere su quanto sia importante accorgersi di ciò che ci circonda e si fa anche nella quotidianità. La regia di Scheherazade’s Diary è frutto di un attento lavoro di montaggio su circa 90 ore di girato in una prigione per donne dove la Daccache è entrata in punta di piedi con la sua operatrice, portando avanti innanzi tutto la sua funzione terapeutica con delle donne, di età diverse, che avevano dimenticato cosa volesse dire essere donna in una società non facile, dove spesso si è costrette a sposarsi a dodici/tredici anni ed è un reato indossare a 8 anni i pantaloni del proprio fratello.
Dopo l’esperienza di 12 Angry Lebanese, dove il film era nato “per caso”, rendendosi conto di quanto fosse importante quel materiale girato nel corso del lavoro con dei detenuti maschi, la regista libanese, questa volta, sceglie volontariamente di riprendere tutte le diverse fasi del laboratorio in funzione di un film. L’Arte diventa così un’occasione, splendida e al contempo difficile, per raccontarsi. Queste donne sono circondate dal filo spinato, nonostante (almeno ascoltandole) non abbiano alcuna idea di fuggire dato che, per molte di loro, le mura di una prigione e di una cella sono più sicure di quelle domestiche. Grazie alla Daccache stanno lavorando sul proprio dolore, sulle cicatrici che segnano il volto, il corpo (una è stata bruciata e frustrata) e l’anima; molte di loro si sentono distrutte dentro e l’obiettivo della macchina da presa ci restituisce tutta la loro sofferenza senza spettacolarizzarla, con la pelle d’oca che attraversa lo spettatore in un mix di emozioni tra rabbia e commozione.

La documentarista ha saputo sfruttare al meglio anche i pochi mezzi in possesso (non poteva far entrare luci, ma le ha sapute cogliere offrendo una fotografia suggestiva), adeguandosi a ciò che le concedevano (se quel giorno le permettevano di usare il trepiedi impostava un’inquadratura fissa, altrimenti optava per la macchina a spalla). Tutta questa naturalezza è dovuta anche al progressivo fidarsi e aprirsi delle detenute, le loro testimonianze si alternano a scene dal lavoro terapeutico e dalla messa in scena dello spettacolo.
Ci preme sottolineare che la Daccache non vuole né martirizzare queste donne né assolverle, alcune riconoscono anche la loro parte nel non aver denunciato il marito per le percosse, ma permette loro di riacquistare dignità innanzi tutto ai propri occhi, riscoprire la femminilità (vedi anche l’insegnamento del flamenco) e imparare che al di là di quelle sbarre si può ricominciare.
Di fronte a Scheherazade’s Diary non si può e non si deve rimanere indifferenti.

Info
La scheda di Scheherazade’s Diary sul sito del FCAAAL.
  • scheherazades-diary-2013-01.jpg

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