La camera azzurra

La camera azzurra

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Mathieu Amalric dirige e interpreta il suo sesto film, La camera azzurra, adattando un romanzo di Simenon. Ottimi spunti, soprattutto nella prima parte, ma anche un esagerato manierismo, prendendo ora da Chabrol ora dall’ultimo Truffaut. Presentato a Cannes, nella sezione Un certain regard, e selezionato al Torino Film Festival 2014.

L’amour fou ai tempi del digitale

Julien Gahyde, incarcerato e interrogato per una inchiesta giudiziaria sulla morte della moglie, evoca la sua relazione adulterina con Esther, una amica d’infanzia che ha rincontrato casualmente. [sinossi]

Il tema dell’amour fou, del suo inevitabile sfociare in morte violenta (e con eventuali correlazioni giudiziarie) è un tema classico del cinema e della letteratura francesi, esemplificato al meglio – negli ultimi decenni – dallo struggente e meraviglioso La signora della porta accanto di François Truffaut o, al contrario, giocato attraverso una sapida ironia da Claude Chabrol anche in uno degli ultimi episodi della sua filmografia costituzionalmente anti-romantica (vale a dire La damigella d’onore, in cui l’amor fou diventava folle e solitaria ossessione della protagonista femminile). Ha deciso di muoversi su questo – pericoloso – crinale Mathieu Amalric con il suo nuovo film, La camera azzurra (La chambre bleue), da lui diretto e interpretato e presentato a Cannes 2014 nella sezione Un certain regard.

Partendo dal romanzo omonimo di George Simenon, pubblicato nel 1964, Amalric mette in scena una storia di tradimento e morte con al centro la figura di Julien Gahyde (da lui stesso interpretato), un po’ ebete e inconsapevole, un piccolo borghese affascinato e irretito dai modi eccessivi e violenti di una vecchia compagna di scuola con cui intrattiene clandestinamente una folle e appassionata relazione. Costruendo la narrazione attraverso un attento richiamo tra il passato e il presente, in cui il Julien interrogato dalla polizia rievoca i momenti di fremente eccitazione vissuti dal Julien amante fedifrago, il regista di Tournée sa costruire con raffinatezza un discorso sulle modalità per cui una storia d’amore si colora di volgarità e squallore nel momento in cui viene trasferita nelle cronache giudiziarie. Un approccio che riesce a restituire pienamente le atmosfere simenoniane di grigiore e meschinità dell’essere umano, come pure il suo understatement descrittivo e dialogico. Lo spunto però finisce per perdersi nei primi minuti del film e per normalizzarsi in una semplice storia di corna con delitto e in un caso da cronaca giudiziaria – anch’esso molto francese (da Landru in poi) – ma decisamente già visto.

E, soprattutto, nel confronto inevitabile con Truffaut e Chabrol (filtrato naturalmente attraverso Simenon, ma citato esplicitamente in un’inquadratura in cui un’auto attraversa una strada buia in piena notte, che è lo stilema chabroliano per eccellenza), Amalric cade nella maniera, nel déjà-vu sia pur ben costruito e fa pensare a un altro episodio recente della sua filmografia, L’illusion comique, in cui rimetteva pedissequamente in scena una pièce di Corneille trasferendola in ambiti contemporanei. Come La camera azzurra, L’illusion comique era tanto fedele al testo da risultare ossessivo e inerte, come se Amalric volesse fare un’edizione illustrata di un qualcosa che fino a quel momento viveva solo sulla carta. Allo stesso modo il nuovo film dell’attore e regista francese pesca in una tradizione consolidata e fortissima (quella per l’appunto dell’amor fou) e prova a metterla in scena senza riscriverla, quasi come un objet trouvé. A questo si aggiunge la scelta – simile a quella del precedente episodio corneilliano – di girare in low-budget con un digitale dai colori freddi e smorti che, pur utile a rendere più sordide le atmosfere, finisce però per apparire alla lunga un po’ grossolano.

Sembrano distantissimi perciò i risultati di Tournée, un film personale e nervoso, umorale e privato, quasi implicitamente autobiografico (l’apice della sua filmografia ad oggi), con cui Amalric era riuscito – impresa quasi improba – a ri-attualizzare e a replicare senza copiare il cinema di Cassavetes. Un film che giocava soprattutto sull’indefinibilità atmosferica, laddove invece in La camera azzurra l’indefinibilità – a parte alcuni momenti iniziali – viene praticamente solo dalle meccaniche narrative.

INFO
La camera azzurra sul sito del Festival di Cannes.
La pagina dedicata a La camera azzurra su Wikipedia.
Il trailer di La camera azzurra su Youtube.
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