Le cose belle

Agostino Ferrente e Giovanni Piperno con Le cose belle tornano a raccontare, a distanza di dieci anni, le vite di quattro ragazzi napoletani costruendo una riflessione tutt’altro che banale sulle speranze deluse e sull’inesorabile passaggio del tempo.

Adda passà ‘a nuttata

Quando nel 1999 Agostino Ferrente e Giovanni Piperno realizzarono Intervista a mia madre, un documentario per Rai Tre che voleva raccontare dei frammenti di adolescenza a Napoli, ai loro quattro protagonisti chiesero come immaginassero il proprio futuro: questi risposero, pieni di speranza, elencando tutte “le cose belle” in cui speravano. Dieci anni dopo, i due registi sono tornati a filmare i loro quattro protagonisti, seguendoli nell’arco di quattro anni e verificando quanto quelle speranze fossero state deluse. [sinossi]

Il cinema, soprattutto il cinema documentario, ha bisogno di tempo per poter dispiegare una certa complessità, per poter riuscire ad andare a fondo, per saper trovare dei significati oltre la superficie piatta di un immaginario globalizzato e sempre più difficile da decodificare. Verrebbe quasi da dire che il compito di leggere la complessità del reale sia forse uno dei più preziosi strumenti che fa la differenza tra il cinema documentario e il magma indistinto dell’immagine sempre nuova e già consumata che viene proposta attraverso TV e nuovi media.
Ecco che allora Le cose belle di Agostino Ferrente e Giovanni Piperno diventa un esemplare frammento di quel che potrebbe e dovrebbe essere il racconto per immagini oggi: non basta più andare in un posto (o, forse, non è mai bastato) o riprendere dei volti per dare forza al cinema del reale; in quel posto e da quelle persone bisogna tornarci per verificare ciò che il tempo ha lasciato sedimentare.

Dopo aver girato nel 1999 un documentario per Rai Tre, Intervista a mia madre, in cui seguivano quattro ragazzi napoletani e li interrogavano su come vedevano il loro futuro, Ferrente e Piperno sono tornati da loro a distanza di dieci anni per verificare cosa era successo nel frattempo, quante speranze fossero andate in frantumi e quante invece fossero rimaste in piedi. Così i due registi hanno seguito i loro protagonisti per altri quattro anni e sono riusciti a costruire una epica del tempo che passa, che tutto travolge e che, spietatamente, annulla ogni illusione.
Con Le cose belle allora viene fuori non solo il ritratto di quattro ragazzi già invecchiati, che sono stati costretti a seppellire ogni ambizione, ma anche un tentativo, evanescente perché impossibile, di catturare il passaggio del tempo, di lavorare sulla terrena fragilità e precarietà di ogni cosa.

Fabio, Enzo, Adele, Silvana: sono loro i quattro protagonisti, a cui va dato il gran merito – condiviso con i registi che ne hanno saputo conquistare la fiducia – di essersi messi in mostra senza ritrosie, di aver deciso di non nascondere le speranze tradite e i loro corpi già impietosamente segnati dal tempo. Dal 1999 a oggi si legge nei loro volti e nelle loro figure appesantite non tanto la speranza delusa di cambiamento della metropoli napoletana (allora in piena – apparente – rinascita con la gestione Bassolino, eppure ancora oggi vivissima), quanto la crudeltà di una città che “mangia” i suoi figli, che non permette a un bambino e a un adolescente di essere tali e che li “mastica e sputa” con rapidità impressionante. Al di là delle riflessioni meta-cinematografiche sul tempo che passa, è forse questo il nucleo oscuro di Le cose belle: il ritratto indiretto di una città come Napoli il cui modo di vivere violento, radicale e intenso sciupa senza ritegno – e in modo molto più rapido che altrove – ideali e volontà di cambiamento delle varie generazioni che si succedono.
Nulla è fermo a Napoli, tutto va verso la catastrofe e insieme verso la rinascita, tutto è sempre in ebollizione, per una disperata vitalità di pasoliniana memoria che contraddistingue anche i quattro protagonisti del film e che fa di Le cose belle un validissimo esempio di complessità documentaria.

Info
Il sito di Le cose belle
La pagina dedicata a Le cose belle sul sito dell’Istituto Luce
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