ADHD – Rush Hour
di Stella Savino
Diagnosi dibattute, cure aggressive e una sintomatologia assai comune, per una malattia complessa e sfuggente, al centro di ADHD – Rush Hour, interessante documentario di Stella Savino.
La pillola va giù
Bambini che non stanno fermi, corrono, si arrampicano, quando gli si parla sembrano non ascoltare, sono distratti, non riescono a stare in silenzio, parlano troppo, sparano le risposte prima che sia terminata la domanda, interrompono o si intromettono nelle comunicazioni con gli altri. Probabilmente, qualcuno un giorno gli diagnosticherà l’ADHD – Deficit dell’attenzione e iperattività, una anormalità neuro-chimica geneticamente determinata. E a seconda del Paese in cui vivono, ai genitori sarà proposto di somministrare loro, con più o meno facilità, la soluzione al problema: una pasticca di metilfenidato o di atomoxetina. [sinossi]
Tra le caratteristiche ineludibili del genere documentario c’è senz’altro il fatto di essere il resoconto di un incontro, avvenuto in un determinato luogo e in un determinato tempo, tra la macchina da presa (e chi la governa) e il suo oggetto d’esplorazione, sia esso un luogo, una realtà socio-antropologica, un singolo o magari un gruppo di persone, più o meno messe in scena o anche semplicemente intervistate. La faccenda si fa però assai più complessa quando al centro della scena c’è un oggetto indefinito, evanescente, ineffabile. Si propone in fondo proprio di sondare l’insondabile ADHD – Rush Hour, documentario dedicato alla sindrome da deficit di attenzione e iperattività, nonché esordio nel lungometraggio per la cineasta partenopea Stella Savino. Malattia dalla sintomatologia variegata, difficile da determinare, ma la cui diagnosi è in continua crescita, l’ADHD ha suscitato l’allarme delle Nazioni Unite, sia perché ad esserne colpiti sono in particolare bambini e adolescenti sia perché, soprattutto, le cure ad oggi previste sono eccessivamente invasive. La sua diffusione, negli ultimi anni esponenziale, ha destato poi non pochi sospetti, al punto che, come emerge dal lavoro della Savino, l’ADHD potrebbe vivere la stessa parabola già tracciata dalla una volta assai diffusa isteria femminile, o persino dall’omosessualità, entrambe trattate in passato con terapie farmacologiche.
Ma la diagnosi dell’ADHD ha una sua base scientifica, dal momento che è collegata alla rilevazione a livello cerebrale di determinate sostanze, assenti in soggetti normali, e l’unica terapia, accanto (ma non sempre) alla psicoterapia, è la somministrazione di atomexina, una sostanza che però produce allucinazioni, gravi danni epatici e tendenze suicide, oppure di metilfenidato (Ritalin) ovvero un’anfetamina, in tutto e per tutto simile a una serie di narcotici, come eroina, morfina e cocaina.
Abbiamo visto questa sindrome rappresentata sul grande schermo di recente in Mommy di Xavier Dolan, lavoro sorprendente e maturo per il giovane cineasta canadese, che non a caso ha conquistato il Premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes, ma osservare in un documentario una serie di giovani (si va dai sei ai 25 anni circa) “malati” è tutt’altra cosa. Soprattutto perché nulla di anomalo traspare dal comportamento dei protagonisti presi in esame dalla Savino, questi bambini o ragazzi potrebbero essere sani proprio come i loro coetanei “non malati” o forse questi ultimi in fondo potrebbero essere, senza saperlo, affetti da ADHD.
È proprio questa in fondo la tesi alla base del documentario, un’esplorazione composita fatta soprattutto di interviste ai genitori dei giovani malati e di interventi più approfonditi ad opera di ricercatori ed educatori, il tutto arricchito da, purtroppo parchi e sporadici, interessantissimi filmati di repertorio. Sì, perché le prime diagnosi di questo disturbo, risalgono al secondo dopoguerra, quando i reduci, traumatizzati dal conflitto, iniziarono ad essere trattati con gli stessi farmaci in uso anche oggi.
Tratto da una sceneggiatura firmata dalla stessa Savino, finalista al Premio Solinas nel 2009, ADHD – Rush Hour soffre forse proprio di un eccesso di strutturazione narrativa che in qualche modo blocca, interrompe la poetica dell’incontro (tra l’autrice e i suoi “personaggi”) per incasellarla in un costrutto fin troppo ragionato.
Niente e nessuno viene demonizzato in ADHD, a parte a tratti, come è anche facile che sia, l’industria farmaceutica e i suoi cospicui interessi; si prosegue seguendo, con un ritmo in ogni caso incalzante, l’alternanza tra riprese dei bambini ospiti in un militaresco campo estivo rieducativo a Miami, quelle in casa di un adolescente italiano, le interviste ai genitori, operatori, medici, studiosi con tanto di grafici e tabelle sulla lavagna a sovvenzionare tesi e risultati di ricerche scientifiche o statistiche.
Siamo lontani certo dai documentari di Herzog e ancor di più dai lavori di Wiseman, tutti basati su una totale immersione dell’autore in una realtà “altra” e sulla costante permanenza del regista in loco per ampi periodi e non si tratta dunque, almeno non fino in fondo, di quella tipologia di documentario di ricerca sul campo, perché qui lo studio è stato fatto tutto a priori, e si sente.
Ma nonostante l’eccesso di “teste parlanti” in primo piano e gli exploit affettati del prof. Casali che non riesce mai a raggiungere una percettibile naturalezza e pare ingessato nel tono didattico di chi sa, comunque, di essere ripreso, la realtà e con essa l’ineffabile “splendore del vero” trova lo stesso una strada per manifestarsi, in alcune, impressionanti epifanie. Pensiamo qui ad esempio alla ripresa di una lezione di judo in cui l’istruttore esorta una bambina a inscenare una serie di sentimenti e il suo partner di gioco ad imitarla, oppure all’insofferenza alle regole e alle relative “punizioni” cui viene sottoposta la piccola Laurene, ospite della struttura di Miami, di certo il “personaggio” più forte e perturbante del documentario, lasciato ai margini, ma non per questo meno deflagrante (non a caso a lei è affidato il finale, così come l’immagine della locandina).
Si tratta due di due scene profondamente vere, che riescono a farsi cogente metafora di una malattia che forse non è reale, tangibile, eppure, nel disagio e nella sofferenza di genitori e giovani malati, in tutta evidenza, esiste.
INFO
La scheda di ADHD – Rush Hour sul sito di Microcinema Distribuzione.
- Genere: documentario
- Titolo originale: ADHD - Rush Hour
- Paese/Anno: Germania, Italia | 2012
- Regia: Stella Savino
- Sceneggiatura: Stella Savino
- Fotografia: Alessandro Soetje
- Montaggio: Roberta Canepa
- Colonna sonora: Walter Fasano
- Produzione: Partner Media Investment
- Distribuzione: Microcinema
- Durata: 76'
- Data di uscita: 26/06/2014