Cinema Ritrovato 2014 – Bilancio
L’edizione 2014 del Cinema Ritrovato, festival bolognese dedicato al cinema del passato si conferma un autentico scrigno, colmo di gioielli, per cinefili. Nonostante un’ipertrofia che obbliga a rinunce dolorose.
Ho visto anche dei cinefili felici
Che cosa si va a vedere stasera? La nuova versione restaurata, con elementi inediti, del Gabinetto del dottor Caligari! Però in contemporanea fanno anche Figlio unico di Ozu! E alla stessa ora anche Gioventù bruciata nell’enorme schermo di Piazza Maggiore, edizione restauratissima. Che fare?
Questo è uno dei tanti dilemmi amletici che lo spettatore si è trovato di fronte nell’ultima edizione del Cinema Ritrovato di Bologna. E rappresenta la grandezza ma anche i limiti di questa manifestazione. Da un lato si conferma un autentico scrigno, colmo di gioielli, per cinefili. Documentari lituani, corti muti dell’Impero ottomano, cinema indiano degli anni cinquanta e giapponese dei trenta, solo per citarne alcuni di questa edizione. Dall’altro la sua ipertrofia sempre crescente obbliga a fare scelte e quindi rinunce dolorose. Ma il Cinema Ritrovato si conferma come uno delle manifestazioni più importanti in Italia, e non solo, a carattere retrospettivo e rappresenta un’isola felice dove è quasi bandita, una volta tanto, la contemporaneità.
Tantissimi i percorsi anche quest’anno quindi. Uno dei filoni possibili è stato quello relativo al cinema contro la guerra, alla rievocazione del primo conflitto mondiale iniziato un secolo fa, che non poteva essere protagonista della sezione, fissa del Ritrovato, ‘Cento anni fa’. L’apice è stata la proiezione in piazza, pur funestata dalla pioggia, di Maudite soit la guerre di Alfred Machin, melodramma pacifista realizzato in Belgio immediatamente dopo lo scoppio del conflitto, seguita da En dirigeable sur les champs de bataille, estratto delle riprese aeree effettuate da un dirigibile francese nel 1918 sulle macerie delle città belghe, da Nieuwpoort a Mont Kemmel rase al suolo. Ambientata nell’epoca immediatamente successiva, la rassegna ‘In cinema in guerra contro Hitler’, è stata una selezione di film sul grande dittatore tra i quali va ricordato lo straordinario Der letzte Akt (1955) di Georg W. Pabst, ricostruzione allucinata e claustrofobica degli ultimi momenti di vita del führer, tra le opprimenti pareti in cemento armato del bunker in cui si era rifugiato con i suoi fedelissimi. La Germania degli anni trenta è anche il teatro del cinema di Werner Hochbaum, autore misconosciuto di film popolati da personaggi schiacciati in una dimensione urbana opprimente, giocati tra melò e cinema d’avanguardia.
La retrospettiva sulla nouvelle vague polacca ha permesso di scoprire o riscoprire, nello splendore di un cinemascope valorizzato sul grande schermo del cinema Arlecchino, opere fondamentali come La passeggera di Munk, Il manoscritto trovato a Saragozza di Has, film prediletto di Buñuel, Faraon di Kawalerowicz, kolossal storico, antitesi di Mankiewicz, denso di riferimenti alla società attuale e ai suoi meccanismi di potere, e il curioso musical in stile Mamoulian Przygoda z piosenka di Stanislaw Bareja. Da ricordare anche Lenin w Polsce di Sergej Jutkevič, monologo interiore del grande rivoluzionario, incentrato sulla fase della sua vita in esilio, prima della Rivoluzione d’ottobre. Altra epoca aurea di una cinematografia è quella dell’India anni cinquanta, quel cinema dove il neorealismo può virare tranquillamente al musical. Una selezione di opere, difficilissima, curata da Shivendra Singh Dungarpur che ha visto pietre miliari come Mother India di Mehboob Khan, Pyaasa e Kaagaz Ke Phool di Guru Dutt, Ajantrik di Ritwik Ghatak, Awara di Raj Kapoor. Una retrospettiva che vuole essere anche un appello alla preservazione di tale patrimonio che non versa in condizioni ottimali. Giunta alla sua terza, e ultima edizione, la sezione ‘Japan Speaks Out’ sugli albori del sonoro giapponese, quest’anno è stata dedicata alla casa di produzione Shochiku. Immancabile Ozu con Figlio unico, ma anche Yasujiro Shimazu con Shunkinsho: Okoto to Sasuke, primo di una serie di adattamenti letterari dalla novella di Tanizaki, e anche Mizoguchi, che solo sporadicamente ha transitato per la Shochiku, con Gubijinso e con il dimenticato – non risulta nemmeno in tante filmografie del regista – Ojo Okichi, codiretto insieme a Matsutaro Kawaguchi.
I film serali in Piazza Maggiore rappresentano la parte più mainstream del Ritrovato. Quest’anno c’erano, tanto per gradire, tra gli altri La vedova allegra di Stroheim, Alba tragica, La signora di Shangai. Ma anche a questi c’è stata un’alternativa più di nicchia, incentrata sull’atto stesso della proiezione, nella piazzetta Pier Paolo Pasolini, antistante il cinema Lumiere. Il primo di questi eventi ha visto protagonista Peter Kubelka, il cineasta sperimentale, che ha presentato il suo classico del 1960 Arnulf Rainer e il seguito di quell’opera, realizzato solo due anni fa, Antiphon. Entrambi i film basati su una partitura ritmica, musicale e matematica, giocata sull’alternanza di luce, buio, sono e silenzio. La proiezione di queste due opere, speculari, proiettate separatamente e poi contemporaneamente, con due proiettori, affiancate sullo stesso schermo, ha costituito l’installazione Munument Film, parte integrante della quale sono stati anche i momenti di montaggio dei proiettori, tra il pubblico e senza cabina, e di caricamento delle bobine. Altri due eventi in piazzetta sono stati rappresentati dalle proiezioni con l’antica lanterna a carbone dei film Princesse Mandane (1928) di Germaine Dulac e Sangue bleu (1914) di Nino Oxilia con Francesca Bertini.
Ancora da ricordare, spulciando qua e là il programma, Sosialismi, film contemporaneo di Peter von Bagh, tipico suo lavoro di found footage con immagini di repertorio e immagini di cinema, incentrato in questo caso sull’utopia marxista; Stage Sisters di Jin Xie (1964), grande affresco di storia cinese attraverso due amiche, performer itineranti dell’Opera cinese; i tre corti d’esordio di Peter Sellers, la trilogia di Hector Dimwittie, ritrovati negli anni novanta; i cortometraggi restaurati di Jacques Tati.
Si esce spossati da questa maratona di otto giorni, superstiti di un’overdose cinefila, da un’indigestione di film. Suggeriamo, per la prossima edizione agli organizzatori, di aggiungere flaconi di Brioschi nei distributori del Lumiere.