Locarno 2014 – Presentazione
La sessantasettesima edizione del festival del Canton Ticino conferma l’importanza cruciale di Locarno 2014 come territorio di continua ricerca del nuovo e riscoperta del passato più o meno recente.
È iniziato, prima ancora dell’inizio, con I predatori dell’arca perduta e I quattrocento colpi: due classici del cinema mondiale, riproposti in digitale sullo schermo della Piazza Grande. Il Festival Internazionale di Locarno può essere compreso e analizzato, a ben vedere, anche partendo e arrivando ai due eventi che hanno anticipato l’inizio della sessantasettesima edizione: dietro la visione del primo capitolo delle avventure di Indiana Jones e Antoine Doinel, vertici tra loro così (dis)simili della Hollywood rigenerata degli anni Settanta e della Nouvelle vague, si nasconde il senso di una kermesse che continua imperterrita per la sua strada, anno dopo anno, decennio dopo decennio, direttore dopo direttore. Rispetto alle miserie culturali italiane, in cui ogni singolo festival vive e respira solo a seconda dei ghiribizzi e dei voleri volatili dei politicanti di turno, di chi detiene il “potere”, Locarno appare come una certezza, un monolite dietro il quale trovare riparo dalle folate delle lotte intestine, delle guerre di logoramento condotte a distanza e spesso becere, palesamento di un imbarbarimento collettivo che è il primo segnale della decadenza di una democrazia sempre più traballante, insicura, affascinata da venti di egemonia.
Di fronte a questo squallido panorama in cui la piazza è stata sostituita da asettici salotti televisivi, il festival di Locarno rifulge, e non solo per la sua statuaria possanza acquisita nel corso del tempo: anche quest’anno il lavoro portato a termine da Carlo Chatrian e dai suoi collaboratori acquista un valore in più, certificando al di là di ogni dubbio un progetto che si muove in linea con la storia del festival senza per questo farvisi asservire o soggiogare.
Dai film che passeranno la sera in Piazza Grande ai titoli del concorso, dai “cineasti del presente” agli omaggi di cui il festival è storicamente disseminato, fino alla splendida retrospettiva dedicata alla Titanus: in poco meno di due settimane il Canton Ticino diventerà l’epicentro di un maestoso e incessante interscambio di idee, istanze, pratiche ed esperimenti tra loro distanti anni luce. In concorso Lav Diaz, autore imprescindibile della contemporaneità, sfiderà colleghi più o meno affermati, più o meno inquadrati, più o meno allineati: da Pedro Costa a Matias Piñeiro, da Eugène Green a Paul Vecchiali, da J.P. Sniadecki a Bonifacio Angius, che approda in concorso dopo aver stupito con la sua (per i più invisibile) opera prima, Sagràscia.
Locarno è uno dei pochi festival internazionali a comprendere ancora fino in fondo il senso del termine “ricerca”: non solo il tentativo di rintracciare poetiche espressive nuove nel marasma della modernità, ma anche ricercare il senso intimo del fare cinema, dell’esistere come veicolo immateriale filosofico, etico e poetico. Una ricerca, per l’appunto, da portare a termine senza tracciare evidenti linee di demarcazione, negando la necessità (del tutto superficiale) di una suddivisione in aree, approcci, velleità: il popolare si mescola all’elitario, in una ridefinizione totale e continua del rapporto tra oggetto cinematografico e pubblico – e torna valido il discorso sulla scelta di aprire con Spielberg e Truffaut.
Mentre Venezia svilisce (almeno sulla carta) il valore di una sezione come Orizzonti e Roma abbandona CinemaXXI, depauperando il polmone verde della manifestazione, Locarno non cede alle lusinghe della via più facile, muovendosi in direzione ostinata e contraria. Lo dimostra l’ultimo titolo annunciato in ordine di tempo, Kommunisten di Jean-Marie Straub, che verrà presentato al festival ancora in copia-lavoro (sempre di Straub saranno proiettati À propos de Venise e Dialogue d’ombres, rimessa a punto del lavoro diretto nel 1954 con Danièle Huillet); lo dimostra il recupero dalla Croisette dell’Adieu au langage di Jean-Luc Godard; Poder dos afetos di Helena Ignez, ospitato nel fuori concorso. E poi? Il premio Rezzonico come miglior produttore indipendente a Nansun Shi (della sua factory verranno proiettati Dragon Gate di Raymond Lee e lo Tsui Hark di Time and Tide e Young Detective Dee: Rise of the Sea Dragon), l’omaggio al direttore della fotografia Garrett Brown, il Pardo alla carriera a Víctor Erice e Agnès Varda, le histoire(s) du cinéma di Li Han-hsiang, Rogério Sganzerla, Dario Argento, Charles S. Chaplin.
Infine la titanica – impossibile trovare un aggettivo diverso per descriverla – retrospettiva dedicata alla Titanus della famiglia Lombardo: 55 titoli per riallacciare i fili di una casa di produzione ultracentenaria, che ha attraversato la storia del cinema italiano modificandola in maniera sostanziale.
Tutti elementi, quelli citati finora, che confermano Locarno come punto di passaggio indispensabile nel percorso annuale festivaliero, luogo in cui (ancora) si pensa al/il cinema, sfibrandolo e intessendo nuove trame, che racconteranno il futuro grazie alla potenza del presente e alla memoria del passato. Buone visioni a tutti!