The Kingdom and the Beauty

The Kingdom and the Beauty

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All’interno dell’omaggio organizzato dal Festival di Locarno al regista honkonghese Li Han-hsiang spicca The Kingdom and the Beauty, coraggioso e personale huangmei diao, i film-operetta concentrati su struggenti amori di corte.

Addio mia imperatrice

L’imperatore non conosce ancora l’età adulta quando decide di uscire dal suo Palazzo in incognito per immergersi nella vita brulicante delle strade. Lì incontra una bella fanciulla che lavora in una locanda e se ne innamora. Quando la ragazza scopre che si tratta dell’imperatore si sente tradita, tanto più che lui è costretto dall’esercito a tornare immediatamente a casa. [sinossi]

Piccolo omaggio del Festival di Locarno a Li Han-hsiang, regista classico hongkongese mandarino, coevo di King Hu – cui è associabile per un’analoga parabola produttiva che lo ha portato a fuggire dalla Shaw Brothers per ripiegare a Taiwan –, Chang Cheh e Lau Kar-leung. King Hu peraltro appare come attore proprio in The Kingdom and the Beauty. Siamo agli inizi del processo di beatificazione critica per Li Han-hsiang, tardiva rispetto ai suoi colleghi, che vanta già la prova testimoniale di Wang Bing, che lo reputa un regista di grande modernità, e una grande retrospettiva della Hong Kong Film Archive all’Hong Kong International Film Fest.
The Kingdom and the Beauty è un tipico huangmei diao, genere dei film operetta incentrati su struggenti amori di corte, in cui il regista era specializzato. L’incipit del film è un carrello laterale enunciativo che scorre su un’antica raffigurazione cinese. All’occhio esperto di un esegeta di cinema orientale non può non richiamare i plan-rouleau, le lunghe carrellate laterali di Mizoguchi che intendevano riprodurre nel cinema quel senso di scorrimento della fruizione dell’arte giapponese classica, dei rotoli illustrati e dei paraventi. L’analogia non è certo casuale: il Maestro nipponico quattro anni prima transitò per la stessa Shaw Brothers che gli coprodusse L’imperatrice Yang Kwei-fei, e la grande casa di produzione hongkongese affidò poi proprio a Li Han-hsiang il compito di realizzare un proprio film, The Magnificent Concubine nel 1962, sullo stesso soggetto storico, quello riguardante l’imperatrice consorte Yang Guifei. È poi risaputo che ai registi della scuderia Shaw Brothers venisse insegnato il cinema giapponese da prendere a modello, ad esempio i film di Akira Kurosawa venivano analizzati come punto di partenza per la messa in scena dei wuxia. E il film The Kingdom and the Beauty, come nella tradizione degli huangmei diao, è incentrato sulla sofferenza di una figura femminile, proprio il tema cardine dell’opera di Mizoguchi. Impossibile quindi non pensare a una derivazione.

Il film inizia in maniera molto pomposa, una ricostruzione della vita di corte della famiglia imperiale, sfarzesca, sontuosa, dai colori scintillanti. Ancora l’occhio cinefilo realizza un’associazione, questa volta a L’ultimo imperatore. Associazione inutile quanto obbligata, dal fatto che il rampollo imperiale si trastulla con una scatola contenente grilli, proprio come quella di Pu Yi del film di Bernardo Bertolucci. E nella sterminata filmografia di Li Han-hsiang figura anche un film su Pu Yi, Huo long, uscito un anno prima del kolossal di Bertolucci, con Tony Leung Ka Fai nei panni dell’ultimo imperatore. Dicevamo un film di impatto estetizzante, dai momenti cantati da musical. E anche quando la scena si sposta fuori dalla corte, nella città, impera il tripudio visivo, cromatico, di una festa folkloristica con tanto di saltimbanchi. Un film superficialmente basato su decorativismi e ghirigori? A un’attenta analisi non è così. Vero, la regia è ancora semplice, non ancora incline agli eccessi di zoom che il regista avrebbe sfoggiato nelle sue commedie erotiche (a Locarno si è visto anche il classico di quel genere Legend of Lust). Ma il film colpisce per la consapevole infrazione dei codici del musical, con un calcolato cortocircuito tra l’intra- e l’extra-diegetico. I danzatori che si esibiscono nella corte imperiale passano dai canti e balli di corte a canzoni narrative di commento delle vicende del film, con un ruolo da cantastorie o da coro greco. Analoga funzione di un personaggio che improvvisamente assume il ruolo di narratore in recitativo. Tradendo così la matrice teatrale del film.

La sfarzosità di The Kingdom and the Beauty contrasta con la sobrietà dell’assunto. Narrativamente il film inizia come I dimenticati di Preston Sturges – il ricco che si traveste da povero per vivere con il popolo – e prosegue come Love Story – l’amore interclassista tra un rampollo altolocato e una popolana, ostacolato dalla famiglia di lui –, ma tutti questi cliché non portano all’happy end di Cenerentola, bensì alla tragedia di una donna lasciata sola, trascurata da un marito dissoluto, destinata a una misera fine. Li Han-hsiang racconta una storia struggente, avvalendosi della natura in cui immergere i personaggi. La Luna come principio femmineo (ancora Mizoguchi), i grilli, le stagioni (il momento di disperazione sotto le foglie color rosso fiammeggiante di un acero in abito autunnale). Stagioni che sono quelle della vita, in un film dalla struttura circolare, che finisce con la stessa immagine con cui è iniziato.

Info
The Kingdom and the Beauty sul sito del Festival di Locarno.
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