Dearest

Dearest

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L’hongkonghese Peter Chan porta fuori concorso al Lido Dearest, un robusto melodramma popolare. Commovente, tragicamente divertente e straziante.

Figlio che avevi tutto e non ti mancava niente…

Quando il figlio sparisce, un uomo e la sua ex-moglie si ritrovano con le loro vite completamente in subbuglio. Perlustrano mezzo continente per trovarlo, ma senza successo. Mentre sono in viaggio incontrano un’altra coppia che ha perso il figlio, la quale li introduce a un gruppo che si occupa di localizzare bambini scomparsi. Alla fine, in un remoto villaggio, ritrovano il loro bambino. La coppia torna a casa col figlio, che però nel frattempo è cambiato e li vede come degli estranei. Intanto la donna che si era presa cura di lui arriva in città per ritrovarlo… [sinossi]

Ispirato a una vicenda reale, quella del rapimento di un bambino avvenuta a Shenzen nel 2009, Dearest di Peter Chan – presentato fuori concorso a Venezia 71 – sembrava aver gli ingredienti giusti per far cadere lo spettatore nella lacrima facile e nel patetico di retroguardia. Invece, l’hongkonghese Peter Chan – da esperto mestierante quale è e da abilissimo metteur en scène – ha saputo evitare ogni soluzione semplice e si è fatto carico di un racconto pieno di chiaroscuri, di ribaltamenti di prospettiva e di personaggi capaci di proporre una notevole complessità, allo stesso tempo carnefici e vittime.
Da sempre, del resto, il melodramma è questo: esagerazione, barocchismo estetico e narrativo, strepiti e furori, disperazione più assoluta e gioia, kitsch e sublime. In Dearest si ritrovano alla perfezione tutte queste caratteristiche, tanto che lo si può far rientrare a pieno titolo nell’alveo del grande cinema popolare, come è sempre più raro vedere non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo cinematografico.

Quel che però rende Dearest un caso davvero interessante è la sua articolata organizzazione narrativa, di marca tipicamente hongkonghese, anche se il film è, produttivamente, pan-cinese. Infatti, a voler schematizzare, nel nuovo lavoro di Peter Chan accade che – come in un thriller d’annata – a metà circa della proiezione i buoni diventano “cattivi” e i “cattivi” svelano il loro lato umano, finendo dunque per affondare tutti quanti in un purgatorio in cui ogni legame sentimentale è perso e irrecuperabile, sfocato nei meandri del passato.
Peter Chan sa come stuzzicare le corde più profonde della sensibilità spettatoriale e piazza due vere e proprie sequenze action a fare da spartiacque: il lungo e straziante inseguimento che i genitori del bambino ritrovato subiscono da parte della madre adottiva e del resto della comunità rurale; la sconvolgente gogna pubblica cui, più in là, viene sottoposta quella stessa donna, aggredita da un’altra comunità, quella che riunisce tutti i genitori dei bambini scomparsi. Due scene speculari, quasi completamente mute (o, almeno, in cui le voci e gli strepiti sono indistinguibili), e costruite con una suspense quasi hitchcockiana.
Nel disegno complessivo di Dearest, sembra cruciale, tra l’altro, il ruolo del personaggio che ha fondato l’associazione dei genitori senza più figli, il cui scopo – come per degli alcolisti anonimi – è quello di sostenersi a vicenda. Infatti, il vittimismo di questo leader improvvisato si trasforma progressivamente in aggressività e in violenza, arrivando a usurpare i diritti del suo prossimo. Poi, improvvisamente, costui farà una scelta radicale, forse perché inconsciamente sente che il dolore per la perdita del figlio lo sta annichilendo e sta prendendo il sopravvento su di lui. Una scelta, una decisione che finirà per trovarsi in contrasto con la restrittiva legge del figlio unico, la cui assurdità – ormai, pare, superata – è presa evidentemente di mira da Peter Chan in questo suo film. Come codicillo accessorio, la grottesca burocrazia prevedeva infatti che, solo consegnando il certificato di morte del proprio bambino scomparso (ma, ancora, non dato ufficialmente per deceduto), si poteva ottenere un certificato di nascita per un nuovo figlio. Vale a dire che, solo a chi rinunciava definitivamente a trovare il primo figlio, veniva concessa dalle autorità l’autorizzazione a generarne un altro.

Film sull’assenza e sulla perdita di affetti, sul vuoto che crea rigidità ed odio, sulla brutalità innata cui finisce per cadere l’uomo quando viene aggredito dai suoi simili e/o dalla legge, Dearest colpisce nel segno e ci fa sperare per il meglio: il cinema hongkonghese, anche se girato nella Cina continentale e prodotto con soldi mandarini (invece che cantonesi), forse non morirà mai…

Info:
La scheda di Dearest sul sito della Biennale
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