In the Basement

In the Basement

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Quadri fissi che scrutano e inchiodano un tenore mancato dal grilletto facile, una masochista attivista, una coppietta sado-maso, un nazi-beone… è il cinema come sempre interessante/disturbante di Ulrich Seidl, alla Mostra del Cinema di Venezia con il documentario In the Basement (Im Keller).

Il posto delle coccole

In the Basement segna il ritorno al genere documentario di Ulrich Seidl. Il film cerca di fornire una rappresentazione del particolare rapporto che c’è tra gli austriaci e i loro seminterrati e di definire le specificità di questi luoghi. I seminterrati sono i luoghi in cui gli austriaci, soprattutto uomini, passano il tempo libero. In the Basement punta una luce su questi luoghi sotterranei che normalmente sono nascosti e, se da un lato fornisce delle risposte, dall’altro pone nuove domande al pubblico… [sinossi]

Chi è disgustato e chi grida al capolavoro; chi osserva i quadri fissi come fossero appesi in un prestigioso museo, chi scuote la testa di fronte a una messa in scena impietosa. Il cinema dell’austriaco Ulrich Seidl non è materia facile, che sia fiction o documentario. Ecco, proprio focalizzandosi sul discrimine sempre più sfumato tra finzione e cinema documentario, tanto da far sembrare In the Basement una sorta di prequel, sequel o spin-off della trilogia dei Paradisi (Paradise: Love, Paradise: Faith e Paradise: Hope), si possono sentire gli scricchiolii di una poetica intransigente nella forma ma costantemente sul filo del rasoi per i contenuti, per la natura di uno sguardo ambiguo, non facilmente decifrabile.

Non sembra esserci compassione nel susseguirsi dei quadri fissi, in questi immobili piani sequenza che mettono a nudo dei soggetti singolari, buffi, quantomeno bizzarri. Seidl penetra nelle cantine dei suoi conterranei, luoghi del rimosso, della vergogna, a volte dell’orrore – non sarebbe poi così stupefacente scoprire tra i personaggi di In the Basement un novello Wolfgang Přiklopil [1]. Insomma, una sorta di bestiario e al tempo stesso un campionario di possibili normalità. Normalità, appunto. Come erano del tutto normali i personaggi dei Paradise, le loro azioni, ignobili o meno. Mentre il pubblico ride o sopporta a fatica, sullo schermo osserviamo persone comuni con hobby, passioni, inclinazioni, idee e convinzioni magari strampalate o improponibili – che dire del collezionista di cimeli nazisti e dei suoi compari di bevute e canzoni? – ma indiscutibilmente umane.

Il cinema di Seidl si ammanta di un umanesimo ostico, privo di pudori, di censure. Non c’è affetto per le persone messe in scena, e non sembra esserci benevolenza, ma nemmeno ironia, disprezzo o altro. Seidl osserva, fissa la macchina da presa, incornicia e non lascia scampo. Non lascia scampo allo spettatore, che ride inconsapevolmente di se stesso. In the Basement è uno specchio, la sua frontalità ci riflette. In the Basement è la scorciatoia per le nostre cantine. Un po’ di maniera, forse troppo preciso, geometrico, in fin dei conti prevedibile. Eppure ipnotico, salutare, paradossalmente sincero nella sua architettura così artificiosa.

Rileggendo le parole di Seidl, «In Austria lo scantinato è un luogo dedicato al tempo libero e alla sfera privata. Molti austriaci trascorrono più tempo nello scantinato della loro casa che in salotto, che spesso è solo una facciata», e ripensando a Goodnight Mommy di Severin Fiala e Veronika Franz, non possiamo che preferire lo scantinato al salotto.

NOTE
1. Nel 1998 Wolfgang Přiklopil rapisce Natascha Kampusch, bambina di dieci anni, tenendola segregata per otto anni in un locale ricavato nel suo seminterrato. Přiklopil si uccide nel 2006, dopo la fuga di Natascha.
INFO
La scheda di In the Basement sul sito della Mostra del Cinema di Venezia.
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