Intervista a Ivan Gergolet
Abbiamo intervistato Ivan Gergolet, regista di Dancing with Maria, sorprendente documentario dedicato alla danzatrice argentina Maria Fux presentato alla Settimana Internazionale della Critica.
L’importanza di mettersi in gioco in prima persona, la tenacia nel perseguire il proprio lavoro, la danza contemporanea e la sua naturale tendenza all’incontro e all’inclusione. Di questo e di altri argomenti, compresi gli intrecci produttivi, le dinamiche realizzative e i progetti per il futuro, abbiamo parlato con Ivan Gergolet che a Venezia 2014 ha presentato Dancing with Maria, il suo esordio, assai promettente, nel lungometraggio. Al fianco del regista, anche la danzatrice Martina Serban, tra le protagoniste del film.
Come è nato l’incontro con Maria Fux?
Ivan Gergolet: Io ho incontrato Maria Fux la prima volta nel febbraio del 2010 perché ho accompagnato mia moglie a fare un seminario di danza a Buenos Aires. Lei prima di partire mi chiede di portare la telecamere per fare un’intervista a Maria che sarebbe dovuta rimanere come un documento privato, quasi un diario di viaggio, ma poi quell’intervista, che io reputo particolarmente riuscita tanto è vero che alcuni brani sono ora nel film, si è trasformata in qualcos’altro. Quando infatti l’ho mostrata a Igor Prinčič, che all’epoca era già il mio produttore, lui è rimasto talmente folgorato da Maria Fux da rispedirmi a Buenos Aires per chiederle se aveva voglia di fare un documentario con noi. In quel momento io ancora non credevo che fosse possibile per me fare un film così lontano, dall’altra parte dell’Oceano, non lo pensavo davvero alla mia portata.
Qual è stata la genesi produttiva di Dancing with Maria, ovvero come è nato l’incontro prima con Igor Prinčič e poi con il co-produttore argentino?
Ivan Gergolet: Io conosco Igor da molti anni perché facevo il proiezionista in un cinema di cui lui era il direttore. Stiamo parlando nel 1997, io non ero ancora un regista e lui non era ancora un produttore. Poi ho cominciato a fare cinema e a girare corti mentre lui già faceva parte di un gruppo di persone che cercavano di sostenere i giovani autori locali, per cui se un regista goriziano aveva una storia, comunque bussava alla sua porta. Ma le cose sono cambiate poi definitivamente nel 2008 con un corto che ho fatto e che si chiamava Polvere, è stato lì che lui ha deciso che voleva fare il produttore e non più l’esercente e io il regista.
La coproduzione è nata invece dall’incontro con David Rubio che è un produttore argentino ma anche un bravissimo filmaker. Ci siamo conosciuti a Buenos Aires a un Forum, lui stava girando un documentario molto interessante su un carcere della capitale e aveva bisogno di qualcuno che gli desse una mano a livello di riprese, mentre io cercavo qualcuno che mi aiutasse con il mio film. Ed è nata così la nostra collaborazione, sul campo, io davo una mano a lui e lui dava una mano a me. La fase burocratica e quella finanziaria sono venute dopo, tutto è partito dall’incontro tra due registi.
Quanto è durata poi la lavorazione del film?
Ivan Gergolet: Tre anni e mezzo, considera che nell’ultimo periodo facevo due-tre viaggi l’anno il periodo più breve è stato 2-3 settimane e quello più lungo di 4 mesi. Quando arrivavano dei soldi partivo, giravo, scrivevo etc. poi rientravo in Italia e se si trovavano altri soldi tornavo lì e ricominciavo il lavoro. È andata così. Avrei voluto finirlo prima ma in questo modo ho avuto molto tempo per farlo, per riflettere sulle immagini, e questo mi ha aiutato soprattutto nella resa della storia dei due ragazzi down, dove ho potuto scegliere con attenzione le immagini più significative del loro rapporto.
Tra i vari personaggi che appaiono, quello più interessante è forse Maria Garrido, la bambina sordomuta trovata in una grotta, adottata da una suora e divenuta poi allieva di Maria Fux. Come l’hai ritrovata?
Non è stato difficile trovarla, Maria Fux parla di lei in uno dei suoi libri, quindi era un personaggio noto, solo che poi da quando aveva lasciato lo studio di Maria nessuno aveva più avuto sue notizie. Dunque incontrarla non è stato complicato, più difficile è stato raccontare la sua storia, perché non trovavo le immagini. È stato molto rocambolesco il rinvenimento di quel super8 che si vede nel documentario, ci ho messo più di due anni a trovarlo. Comunque poi, abbiamo scoperto, era in possesso della nipote di Maria Fux. L’incontro con Maria Garrido poi è una delle cose che il film ha reso possibile. Io ho chiesto a Maria Fux se era d’accordo e aveva voglia di rivedere Maria Garrido e lei mi ha detto di sì. E quel momento dell’incontro che si vede nel film è avvenuto in maniera molto naturale, al punto che la Garrido è tornata a frequentare lo studio. E questa è stata una delle cose fuori dal film, ma che ha fatto il film e uno dei momenti per me più toccanti. C’è ancora del mistero per me in quel personaggio e nel rapporto tra queste due donne, ancora non mi spiego come Maria Fux sia riuscita a tirare fuori della luce da un personaggio così pieno di oscurità, perché comunque parliamo di una donna che era stata ritrovata dalla polizia in una grotta, quando era ancora bambina. Quello di entrare in contatto con un vissuto così forte e vedere poi quanto questa persona oggi sia divenuta così luminosa è qualcosa che ancora oggi non mi spiego, è un mistero.
Colgo l’occasione e dal momento che c’è qui anche Martina, una delle protagoniste di questo documentario, vorrei chiederle come è stato per lei l’incontro con Maria Fux.
Martina Serban: L’incontro con Maria Fux è stato forte perché il suo approccio alla danza è tanto diverso rispetto a quelli che avevo conosciuto prima, lei lavora sull’improvvisazione, sulla relazione non solo con il modo di sentire il proprio corpo, ma anche di sentire la musica. C’è una relazione di interscambio con la musica, Maria dice che noi con il movimento abbiamo la possibilità di rendere la musica reale, quindi svolgiamo un lavoro di traduzione dei suoni attraverso il nostro corpo. E questo mi affascinava. Per me, che venivo già dal mondo della danza, si trattava di un approccio completamente diverso e quindi mi sono dovuta spogliare di tutto quello che conoscevo, delle mie esperienze precedenti, per accogliere qualcosa di nuovo. Il grande messaggio di apertura della danza-terapia di Maria è forse proprio qui, nel fatto che ci invita ad abbandonare ciò che conosciamo già per abbracciare una nuova esperienza.
Anche lo stile del documentario riflette molto bene questo discorso sulla grande apertura e libertà che trasmette la danza contemporanea, infatti non si tratta di un documentario “classico” o “scritto”, come ben si comprende fin dall’inizio: quel piano sequenza iniziale l’avevi pensato già in fase di sceneggiatura o è un’idea che hai avuto dopo?
Ivan Gergolet: Con Maria non era possibile preparare nulla nel senso che lei, lavorando sull’improvvisazione, non crede nella ripetizione. Ci sono stati momenti in cui mi avrebbe fatto davvero comodo poter ripetere alcune cose perché tecnicamente non sempre si riusciva ad essere pronti a seguirla. Quindi l’abbiamo dovuta rincorrere molto. Maria pensa infatti che se una cosa è vera, è naturale, è sentita, non è ripetibile, c’è lì in quel momento e se l’hai colta bene, se non l’hai colta pazienza. Quel piano sequenza lo devi leggere così. In sceneggiatura ero convinto che una delle chiavi del film fosse seguire lei attraverso i suoi spazi perché anche solo il seguirla così, con gli occhi, mi dava qualcosa di lei, anche considerando il fatto che lei separa molto bene il mondo del suo appartamento, della sua intimità, dal mondo dello studio dove lavora e dove si dà al cento per cento. Ero consapevole di questo e sapevo che non potevo preparare nulla. Poi c’è anche il fatto che per Maria iniziare un workshop è un momento di spettacolo, in cui lei va in scena. Quindi quel piano sequenza va visto in questa chiave, è stato un inseguimento, sapevamo che dovevamo arrivare in tempo, ci trovavamo bloccati nel traffico, ed eravamo consapevoli che lei non ci avrebbe aspettato: cominciava e c’era da essere pronti. Quel piano sequenza è nato così e il bello è che è venuto fuori come speravo che venisse.
Il finale di Dancing with Maria è altrettanto importante, ma stilisticamente opposto all’inizio, dal momento che appare molto più costruito, come l’avete realizzato?
Ivan Gergolet: Quella è l’unica parte del film che è stata “costruita”, infatti non c’è Maria! È stata una giornata indimenticabile quella, io avevo già scritto che il film sarebbe finito con una grande danza nella strada, ma non sapevo come realizzarla. Avevo parlato con Maria José che si vede anche nel film e che è una coreografa, ma non avevo un’idea precisa. Quella strada di Buenos Aires poi, che congiunge la piazza del Parlamento al fiume ed è proprio quella in cui si trova la scuola di Maria, di solito è molto trafficata. Un giorno la guardo dall’alto, è stranamente deserta, vedo quell’insieme di linee e decido di fotografarlo. Poi mostro l’immagine a Maria José e lei ha subito un input per strutturare la danza. Poi abbiamo fatto un annuncio su facebook dove si diceva che domenica 13 ottobre si sarebbe girata l’ultima scena di un film su Maria Fux e si sono presentate così tutte quelle persone che si vedono nel film. E questo ti fa capire chi sia Maria Fux, quanto il suo personaggio sia sentito, perché la gente ha preso l’aereo e ha percorso anche grandi distanze per venire lì a ballare, per omaggiare Maria. È stato un bel momento, soprattutto per Maria che ne è rimasta colpita e commossa. Da quel momento quel pezzo di strada non è stata più la via dello studio di Maria, ma è diventata la strada in cui è avvenuta quella danza, che poi si è svolta in silenzio, il che ha reso tutto emotivamente più forte: è stato come moltiplicare la Maria Fux delle origini, quella che danzava con il silenzio.
È vero, tra le cose più forti del film, c’è proprio quel filmato d’epoca in cui Maria danza al suono del vento: è stato complicato raccogliere il materiale di repertorio per il film?
Ivan Gergolet: Degli anni ’50 noi abbiamo trovato un filmato repertorio inedito che è quello in cui Maria danza a Varsavia, questo l’ha rinvenuto il produttore e non era mai stato visto prima, dal momento che il cognome di Maria era stato scritto nell’archivio con uno spelling diverso, alla tedesca, ovvero Fuchs anziché Fux, che poi era probabilmente quello originale e che è stato trasformato in Fux dall’ufficio immigrazione argentino quando il padre di Maria è arrivato dalla Russia. Il resto che vedete nel film è tutto piuttosto noto in Argentina, l’unica cosa che ci manca e che non ci hanno fatto vedere, è un filmato che si trova alla Sapienza, a Roma, dove nel 1981 Maria ha tenuto un seminario sul lavoro dell’attore.
Come hai lavorato all’interno della scuola di Maria per non far sentire la tua presenza agli studenti?
Ivan Gergolet: È andata così: mi sono messo a danzare con loro, era l’unico modo per entrare a far parte del quel mondo. Ad un certo punto del lavoro ero in una fase di stallo, mi sentivo un po’ demotivato, insoddisfatto e allora ho lasciato la camera e mi sono messo a partecipare anch’io alle lezioni. Questa è stata anche un’ulteriore chiave d’accesso a Maria, che da quel momento ha iniziato a nascondersi di meno, si è aperta di più alla camera. È stato un processo abbastanza lungo.
Maria ha visto il film?
Ivan Gergolet: Sì l’ha visto tre settimane fa, ma io non c’ero, c’era invece Martina, quindi cedo a lei la parola…
Martina Serban: Si è emozionata molto, e l’ha trovato molto vero, per niente artefatto, è rimasta molto colpita dallo sguardo di Ivan e conserva il finale come una delle cose che l’hanno commossa di più.
Che rapporto ha Maria con il cinema?
Ivan Gergolet: Maria guarda tanti film e ha una cultura cinematografica importante, ha visto parte del girato anche in fase di montaggio e abbiamo avuto diversi confronti, non è stato tanto facile, perché lei diceva la sua e io in qualche modo cercavo di appoggiarmi alle sue intuizioni soprattutto per quel che riguarda ciò che certe immagini potevano trasmettere o la valenza che potevano assumere. In questo senso si è dimostrata una grande artista, a 360 gradi, con una sua precisa idea di cinema.
Il film ha già un distributore italiano? E in Argentina uscirà?
Ivan Gergolet: Dancing with Maria non ha ancora un distributore italiano, né al momento argentino.
Dopo questo lavoro cosa stai preparando?
Ivan Gergolet: Sto scrivendo un film di finzione che sarà questa volta molto vicino a casa, nel raggio di 70 Km da Trieste. Non so se dargli un genere, in questo momento forse quello più vicino è il noir, ma non ne sono ancora sicuro, la sceneggiatura è ancora in fieri.