Heaven Knows What

Heaven Knows What

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Con Heaven Knows What gli enfant prodige del nuovo cinema indie newyorkese Ben e Joshua Safdie portano in Orizzonti a Venezia 2014 una storia di tossicodipendenza e amour fou, disperata e palpitante.

The damage done

Una giovane coppia vaga per le vie di New York, affetta da tossicodipendenza e da un amour fou che non lascia scampo… [sinossi]

C’è speranza per il cinema indie newyorkese. Dopo i fasti degli anni ’80 e ’90, tutto sembrava essersi appiattito su una poetica standardizzata e confezionata ad uso Sundance o, alternativamente, condannato all’invisibilità. Ma da qualche anno le cose stanno cambiando e tra gli alfieri di questa Nuova Onda, con le loro fortunate incursioni nei maggiori festival internazionali, spiccano senz’altro i fratelli Ben e Joshua Safdie. I due sono cresciuti proprio in quel prezioso universo di immagini e suoni della New York anni ’90 e ora ne ripercorrono le tendenze estetiche, riadattandole al proprio tempo.
Quello dei Safdie è infatti soprattutto un cinema fatto di immaginario, plasmato sulla base di ciò che hanno visto, amato, assimilato in un’ansia cinefaga (ma non solo) al tempo stesso nostalgica e vitalistica.
Ne è un esempio cogente questo Heaven’s Know What, presentato nel concorso Orizzonti al festival di Venezia 2014. Abbandonato il look sgranato e orgogliosamente vintage della pellicola super 16 con cui era girato il loro film d’asordio, Go Get Some Rosemary (dove tra l’altro erano protagonisti i due figli di Lee Ranaldo, chitarrista dei Sonic Youth e dunque alfiere della scena rock newyokese), Ben e Joshua Safdie si cimentano questa volta con il digitale e con una storia dai forti connotati reali. Si tratta però di un realismo complesso e multistrato: Heaven’s Know What è nato infatti dall’incontro casuale dei Safdie con Arielle Holmes, la diciannovenne tossicodipendente newyorkese la cui storia e il cui volto colpirono i due registi al punto da esortarla poi, non solo a scrivere un memoir sulla sua vita, ma anche a incarnare sostanzialmente se stessa nel loro film.

C’è molta realtà dunque alla base di Heaven Knows What, e si vede. Trasuda da ogni immagine, che appare quasi rubata da un’esistenza urbana fatta di incontri e piccoli espedienti utili a sopravvivere e a rimediarsi una dose di eroina. La disperata storia d’amour fou non è però qui soltanto con la droga, essa si incarna anche nella passione malsana di Harley (questo è il nome del personaggio cui dà vita a Holmes) per un compagno di strada, il tenebroso Ilya (l’attore Caleb Landry Jones).
Ma questa macro-narrazione non va a inficiare l’unitarietà né lo scabroso realismo di Heaven Knows What, i due autori riescono infatti a mantenerla sullo sfondo (la coppia è insieme solo in pochi lacerti del film), e lì si posizionano anche loro, con la loro macchina da presa e un potente teleobiettivo, per catturare, senza interferirvi, ogni istante di un’esistenza frenetica, affamata di affetto oltre che di eroina, pulsante vitalità nonostante la costante esposizione alla morte.

Un desiderio smodato altrettanto addictive è quello che spinge Ben e Joshua Safdie a omaggiare con estrema discrezione nel film il loro bagaglio cinefilo e musicofilo. Sul versante audio Heaven Knows What colpisce duro tanto quanto le sue immagini, associandovi le note distorte dei synth del compositore giapponese Isao Tomita e sparandole a un volume quasi insostenibile. Si segnala poi una gustosa citazione di un musicista sufficientemente maledetto: Harley durante una sosta ad un internet point viene infatti sorpresa intenta a visionare un video di Burzum, compositore norvegese black metal, appassionato dell’occulto, nonché omicida.

Per quel che riguarda l’immaginario cinematografico alla base del film dei Safdie è impossibile non pensare a Panico a Needle Park di Jerry Schatzberg (1971), seconda sortita sul grande schermo per Al Pacino e forse tra i film più impressionanti e realistici sull’eroina, da cui Heaven Knows What riprende non solo la location – il parco sito in Sherman Square – ma anche lo stile ruvido, concitato, mai conciliato con se stesso, perfetto paradigma per le condizioni di vita di un tossico. Inoltre, il fatto che la Florida sia ad un certo punto la destinazione ultima della coppia è probabilmente un omaggio a Un uomo da marciapiede di John Schlesinger, altro ritratto impietoso della vita nella Grande Mela, dove non a caso Al Pacino incarnava nuovamente il ruolo di un eroinomane. Mentre Intervista con il vampiro di Neil Jordan fa capolino da un televisore a rimarcare, più che il parallelo tra tossici e vampiri, quel pizzico di nostalgia novantesca che aleggia sull’intero film.
Ma tutti questi riferimenti non devono trarre in inganno, Heaven Knows What, pur affrontando un tema già più volte esplorato al cinema, non è un film derivativo né citazionista, si tratta più semplicemente di un lavoro realizzato da due autori che amano la settima arte almeno quanto il personaggio qui ritratto, un materiale estremamente vero, labile e fragile, che loro sanno perfettamente come maneggiare.

Info
La scheda di Heaven Knows What sul sito della Biennale.
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