Early Japanese Cinema a Pordenone: i jidaigeki
Il programma dedicato alle origini del cinema giapponese in cartellone alla 33esima edzione delle Giornate del Cinema Muto.
Il cinematografo ha appena emesso i suoi primi vagiti che già il Giappone se ne impossessa.
È il 1897, l’Era Meiji quella dell’apertura del paese all’esterno, dei traffici commerciali, del tentativo di colmare il gap tecnologico con un Occidente ormai assurto a modello, è iniziata da ormai trent’anni. L’industriale tessile Inabata Katsutaro torna da Lione con il nuovo marchingegno dei fratelli Lumière.
Siamo in quella fase di transizione tra il modello di rappresentazione primitivo, il cinema delle attrazioni, e il modello di rappresentazione istituzionale. Proprio a questa fase intermedia risalgono gli straordinari documenti presentati alle Giornate del Cinema Muto, pellicole appartenenti alla collezione del Museo del Teatro dell’Università Waseda, il più prestigioso ateneo nipponico (forse qualcuno ha presente l’inno dell’università cantato nei film di Ozu), e in particolare alla donazione Kushima, risalente al 1960 per merito di un collezionista, ex distributore cinematografico. Pellicole curate e conservate dal prezioso lavoro del docente Komatsu Hiroshi.
Il passaggio dai due sistemi di rappresentazione, come delineato da Noël Burch, vede il cinema prendere a modello, come forma di intrattenimento, il teatro, che in Giappone è rappresentato dagli antichi kabuki e Bunraku, il teatro di marionette, e dal nuovo shinpa che vuole attualizzare il repertorio degli spettacoli con drammi di ambientazione contemporanea. I primi registi giapponesi sono dei teatranti, come Makino Shozo, che vedono nel nuovo mezzo la possibilità di immortalare le proprie rappresentazioni. E dalla dicotomia teatro classico e teatro moderno nasce la suddivisione netta tra jidaigeki, film storici, e gendaigeki, film di ambientazione contemporanea.
Il programma presentato a Pordenone, è esemplare nel mostrare l’evoluzione di questo cinema degli albori in Giappone. Nel primo programma, dedicato al jidaigeki, si parte dal teatro filmato puro, a inquadratura rigorosamente fissa, di Asagao nikki (Il diario di un convolvolo, 1909), dramma risalente agli inizi del XIX secolo, sulla tipica pedana del kabuki, ai fondali palesemente bidimensionali con la neve finta di Sakurada chizome no yuki (Neve macchiata di sangue presso la Porta Sakurada, 1909), tratto da una novella del 1886, a sua volta ispirata da un fatto storico del 1860, l’assassinio del Granduca per mano di un gruppo di samurai. Questo film fu interpretato dagli attori della compagnia di Nakano Nobuchika, che collaborava con la prima casa di produzione nipponica, la Yoshizawa, specializzati in teatro shinpa, che si sono adattati a recitare nello stile diverso kyugeki, la vecchia scuola.
Troviamo geisha e samurai, combattimenti di chanbara (il genere giapponese di spadaccini) e un fondale in stile paravento nel film Matsuo shimoyashiki (La residenza di Matsuo, 1910), tratto da un’opera kabuki e Bunraku del 1746. Primi timidi movimenti laterali della mdp in Kamiya Jihei (Jihei, il mercante di carta, 1911) che è tratto dal celeberrimo dramma Shinjû Ten no Amijima, risalente al 1721, opera del grande scrittore Chikamatsu Monzaemon, che poi fu tradotto ancora al cinema nel 1969 da Shinoda Masahiro.
Con l’ultimo film presentato, Kaminarimon taika chizme no matōi (Il grande incendio presso la Porta Kaminarimon, 1916), più lungo degli altri frammenti, il teatro filmato lascia definitivamente posto al cinema con la sua specifica grammatica: girato in esterni, in tante location diverse, che sfociano in uno spettacolare combattimento con katana sugli scogli; un interno con inquadratura sghemba (diverso dalle linee perfettamente parallele e ortogonali del cinema di Ozu); ma anche dei trucchi, sparizioni, trasformazioni, in puro stile Méliès (il cinema delle attrazioni sopravvive). Si narra di una storia di rivalità tra due gruppi di pompieri. L’eroe è Senta, interpretato dal popolarissimo Onoe Matsunoke, che dopo interminabili combattimenti verrà imprigionato, secondo il concetto tipicamente nipponico di nobiltà nella sconfitta. La regia del film è attribuibile, con buona probabilità, a Makino Shozo.